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Volume 1 - Apparati 4° Ed.
1) Apparato 4° Ed. .
Prefazione
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vol.1 pag.360


ALTEZZA REALE,

A Niuno illustre, e sovrano Personaggio fu mai alcuna Opera intitolata con più giusta cagione di quella, che muove noi di presente a consagrare all’A. V. R. la novella edizione del nostro Vocabolario. Pervenne questo sotto gli aaspicj clementissimi del suo Real Genitore a quella grandezza, che renduto lo aveva per ogni parte stimabile agli amatori della Toscana favella; ed ora dallo zelo autorevole, con cui piacque alla R. A. V. d’incoraggiarne a pubblicarlo di nuovo, riconosce questo, se non compiuto, peravventura non dispregevole accrescimento di sua perfezione. Egli è anche parto d’un’Accademia, che oltre al pregio per essa venerabile d’avere fino da’ più verdi anni di V. A. R. nella sua augusta Persona ravvisato il proprio particolar Protettore, e d’aver veduti per lungo tempo i suoi letterarj esercizj dalla Regia Presenza sua soventemente onorati, ha quello ancora di vedere del suo Real Nome il catalogo degli Accademici fortunatamente arricchito. Ci giova sperare, che tante ragioni, che abbiamo di presentarle quest’Opera, il che facciamo profondamente inchinati, riguardare si vogliano da V. A. R. per altrettanti motivi di ricevere in buon grado l’offerta nostra, e di spargere sopra di quella, e sopra di tutti noi i raggi beneficentissimi del suo magnanimo patrocinio, cui umilmente implorando, pieni di fiducia, e di venerazione ci dichiariamo

Di V. A. R.
Umilissimi Servi, e Sudditi
Gli Accademici della Crusca.
L’Informe Segretario



PREFAZIONE.

CHIUNQUE vorrà considerare l’umile cominciamento, che hanno avuto, e come poi col tratto del tempo si sono andati accrescendo i Vocabolarj delle lingue già spente, vedrà, che e’ si possono a buona equità a i grandi fiumi appropiare, i quali comechè sieno a principio assai piccoli, e scarsi, sempre dipoi vanno nel corso loro per accrescimento di nuove acque ingrossando; ma come di questi si giugne pur una volta a vedere la fine, cosi addiviene di quelli, che a tal perfezione si possono finalmente, condurre, che niente in essi rimanga più oltre da desiderare. Ma non così va la bisogna nel fatto de’ Vocabolarj di quelle lingue, che tuttavia sono vive, e che da una intera nazione si parlano, imperciocchè questi si possono viemeglio assomigliare all’Oceano, di cui si vanno tuttora da’ sagaci nocchieri colle loro navigazioni nuovi, e fino a’ loro giorni sconosciuti termini discoprendo. Laonde vedendosi ora ristampato questo nostro con molte ammende dell’antecedente, e con grande, e notabile accrescimento, non dee ciò arrecar maraviglia, ma è da considerare, nell’opere grandi, per detto d’un solenne maestro, esser permesso, o almeno scusabile il chiuder talora gli occhi; e tale essere la natura di quelle favelle, che sono ancora in uso, di poter loro sempre arrogere nuove voci, e nuovi significati. Nella vastità adunque di questo mare ci saremmo senza fallo smarriti, se ci fossimo in esso senza la guida d’una regolatissima disposizione, e d’un ordine stabile, e costante incamminati. Per la qual cosa abbiamo di continuo avuto l’occhio a quelle regole, che ci mostrarono i nostri maggiori nella compilazione de’ primi Vocabolarj, e a quelle altresì, che da noi stessi ci siamo prefissi, per non andare traviati sì nel correggere, e sì nell’ampliare una mole così vasta, che tutta l’universal moltitudine dell’opere della natura, tutte le manifatture dell’arti, tutti i pensieri dell’uomo, e di tutti e tre le azioni, e di queste i modi, e le circostanze in se comprende, e racchiude. Le quali regole noi reputiamo necessario il far quì palesi a’ cortesi, e benigni leggitori, acciocchè sapendo il vero uso di quest’Opera, possano quell’utile ricavarne, a cui ella è stata indirizzata, e perchè altri sentendo la ragione, che ci ha mossi ad operare più nell’un modo, che nell’altro, non ci accusi o d’errore, o di trascuraggine in molte cose, dove anzi il savio avvedimento, e la dottrina de’ nostri passati Accademici, e nelle tante aggiunte, e mutazioni fatte in questa ristampa, la fatica, e la diligenza, o almeno il buon volere de’ presenti sarebbe da commendare.

§. I.

Siamo pertanto nella scelta delle voci, che in questi volumi si sono collocate, andati dietro all’autorità, e all’uso due signori delle favelle viventi; e per l’autorità ci siamo valuti di quei purissimi scrittori, che nel decimoquarto secolo fiorirono, o in quel torno, e in mancanza d’essi, d’altri autori, che le loro scritture hanno distese in quello stile, che a’ buoni tempi fioriva, da’ quali gli esempli si sono

tratti in confermazione de’ vocaboli più moderni, e introdotti nell’uso. Alcuni pochi però nè pur coll’esempio de’ moderni si son potuti confermare, per non c’esser venuto fatto l’incontrarli in alcuno degli autori approvati; ma perchè sono comunissimi, e in bocca tutto dì a quelle genti, che pulitamente favellano, e in tal forma si trovano collocati ne’ primi nostri Vocabolarj, non gli abbiamo nè pur noi lasciati addietro. Può ben essere, che al desiderio d’alcuni appaia, che noi siamo stati in questo anzi parchi, che no, perchè vi avrà forse persona, che avrebbe amato, che noi avessimo aggiunti tutti, o la maggior parte di quei vocaboli, che paiono buoni, se non anche necessarj, o almeno certo di molto uso, ma siamo voluti andare in ciò ritenuti, fino che da tersi, e regolati scrittori non saranno, come il saranno peravventura quando che sia, nelle loro composizioni adottati, e per tal convenente verranno nella nostra Toscana favella ad acquistare stabile domicilio, e allora toccherà a coloro, che si brigheranno di ristampare quest’Opera, ad aumentare di essi i loro volumi. Pertanto non tutte le voci, che sono in questi notate, sono dell’istesso valore, nè si possono mica senza differenza alcuna in ogni maniera di scrittura adoperare, perchè alcune oramai per troppa età rancide, e perciò disusate, e alcune formate troppo di fresco, altre del tutto poetiche, e altre prette Latine, e quali cotanto basse, che toltone lo stil giocoso, o l’umile, e dimesso quanto esser possa, in altre occasioni non si userebbero giammai. Noi non crediamo, che a noi s’appartenesse il distinguerle minutamente, essendo sconcia cosa, che un vocabolarista si ponga a spiegare gramatica, o rettorica, ovvero poetica, dovendosi lasciar questa faccenda a’ solenni maestri di quelle facultà, e anche perchè nella scelta delle voci fa più di mestiero del buon giudicio dello scrittore, che delle regole universali, le quali non possono comprender mai tutte le diversità delle occasioni, delle materie, de’ tempi, delle persone, e de’ luoghi. Solo alle voci, che a guisa delle antiche fogge per la loro vecchiezza non si adoperano più, si è posto il contrassegno di V. A. cioè Voce Antica, e se di esse maggior quantità ne abbiamo tratta fuori, che altri non reputerà, che fosse stato necessario, sappia, che non è da darcene carico, perchè così fecero i nostri maggiori, e ne diedero la ragione dicendo d’averle spiegate, non già perchè l’adoperino i moderni, ma perchè s’intendano gli antichi. A quelle, che sono tolte di peso dall’idioma Latino, o dal Greco, abbiamo apposto V. L. o V. G. Voce Latina, o Voce Greca, e abbiamo anche avvertito molte volte, che alcune sono del tutto basse, e dette per ischerzo. Nè con questi contrassegni intendiamo di bandirle dal mondo, ma bensì di dar lume agli scrittori, e ispezie a’ forestieri, acciocchè sappiendo il lor valore, possano o schifarle in tutto, o in quei luoghi con senno, e parsimonia collocarle, dove credono, che sieno per aver luogo, per non fare un tessuto per le molte parole antiche affettato, e non intelligibile, o per la moltiplicità delle Latine insulso, e pedantesco, o per non far parlare i grandissimi Re con quelle frasi, che solo starebbono bene in bocca al servo di quel buono, e faceto brigante, che ingannò, come narra il Boccaccio, i Certaldesi. In questa parte dal correggere ha avuto principio la nostra fatica, avendone tolte molte voci, che non avevano altro fondamento, che qualche errore di stampa, o qualche passo sconciamente letto, o interpetrato, o altro simile scambiamento. Così in questo primo Tomo per cagione d’esempio non si troveranno più le VV. A costato, Asoliere, Aurizzare, Baldanzato, Cadauno ec. e negli altri Tomi Dipunto, Fornito, Forzo, Stragio, e molte altre, che avevano avuto origine da pretti abbagli. Per operare in ciò con tutto il fondamento, non solo si sono riscontrati gli esempj addotti dal Vocabolario, come si

dirà appresso, ma qualora una voce, che aveva alquanto del nuovo, non era confermata se non con un esempio solo, in quel caso non ci siamo contentati di riscontrarlo su i libri stampati, ma abbiamo avuto ricorso, quando l’esempio era d’autore antico, agli ottimi testi scritti a mano per chiarire se quella lezione era giusta. Per quello poi, che riguarda l’accrescimento, si può sicuramente affermare essere questo primo Tomo, il che proporzionatamente si dice anche degli altri, aumentato di presso a seimila tra voci nuove, e nuovi significati, messi insieme sì da’ libri già citati, i quali per poco potremmo dire d’avere di nuovo spogliati tutti, e sì da tre, o quattro autori citati nuovamente, perchè oltre l’avere scritto con buona lingua Toscana, contengono molti vocaboli, che non si troverebbero altrove. Oltrechè i compilatori dell’ultimo Vocabolario non solo s’allargarono più de’ loro maggiori nel numero dell’opere da loro prodotte, ma anche affermarono restar luogo di fare il simigliante nella futura edizione, che fin da quel tempo promisero di voler fare. E in fatti il principio degli spogli di questi nuovi autori ci fu lasciato da uno de’ più valenti Accademici, che lavorassero nell’ultimo Vocabolario, li cui scritti sono anche sovente in quest’Opera allegati, che forse senza l’autorità d’un tant’uomo noi non ci saremmo arditi cotanto. In questa ampliazione di voci non si comprendono i nomi proprj di Provincie, Città, e simili, e i loro derivati, nè i termini particolari dell’Arti, dove non vi è da apprendere più che tanto di nostro linguaggio; e in oltre sì gli uni, che gli altri richieggiono ciascuno di per se un Vocabolario a parte, che peravventura una volta non mancherà alla nostra favella. Ma alcuni nomi d’instrumenti, o d’altro, quantunque proprj degli artigiani, perchè sono sovente usati anche da’ buoni scrittori, e nell’uso del favellare sono omai divenuti a tutti comuni, noi non gli abbiamo tralasciati, come come Asce, Martello, Sega ec. Alcune voci si sono replicate, quando hanno due significati in tutto diversi, e che talora sono sustantivi, e talora addiettivi, talora nomi, e talora verbi; quando poi i loro significati sono poco varj, si sono distinti con questo segno §. come appresso si dirà. Alcune altre voci, che si dicono in in più maniere, in tutte quelle si sono esposte, come Derivare, e Dirivare, Flagellare, e Fragellare, Gonda, e Gondola, Greve, e Grieve ec. Ma dove prima erano unite insieme, le abbiamo adesso per lo più divise, e secondo l’ordine dell’alfabeto disposte, perchè sicuramente si possano trovare. Perchè pognam caso, che chicchessia per sapere, se possa mettere in iscrittura la V. Fumo ne vada cercando nel Vocabolario, non la trovando, nè sovvenendogli peravventura di guardare alla V. Fummo, dove si dice Fummo, e Fumo, e d’amendue se ne allegano autorità, quel buon uomo si darà forse ad intendere non esser questa una voce approvata, o pur mancare nel Vocabolario; ma ora o cerchi la V. Fumo, o la V. Fummo, in tutte e due le forme resterà compiutamente appagato.
Tralle ricchezze del volgar nostro, in cui e il Greco, e il Latino vince d’assai, si annovera meritamente la tanta varietà de’ superlativi, diminutivi, vezzeggiativi, peggiorativi, avvilitivi, diminutivi di diminutivi, verbali, e altri così fatti nomi, di cui chi ne vuol vedere una copiosa abbondanza di tutte le guise vegga il Varchi nell’Ercolano a c. 254. e 255. della stampa de’ Giunti di Firenze del 1570. e troverà, che sono senza alcun fallo innumerabili, e si formano in tante, e tanto diverse maniere, che impossibile affatto è il darne regola generale. Laonde comecchè si formi ottimamente da Crudele, Crudelissimo, Crudeletto, Crudelaccio, Crudelezza, e Crudeltà, non perciò si direbbe Crudeliccio, Crudelone, o Crudelotto; siccome ancora quantunque non formeremmo Supplicamento dal verbo Supplicare,

non pertanto da Traboccare si forma Traboccamento. Perciò il Varchi pur nell’Ercolano, e dietro ad esso i nostri maggiori in fronte dell’ultimo Vocabolario diedero per avvertimento agli stranieri, e men pratichi dell’uso nostro, il non s’arrischiare senza esempio di buono scrittore a farne de’ nuovi per non esserne ripresi. E noi sappiamo, che presso i Romani Cicerone disapprovava coloro, che diceano Novissimus, e Novissime, e il Varchi nell’istesso dialogo a c. 58. avverte a non adoperare la V. Bisbiglione, ma in quella vece valersi della V. Susurrone, e a c. 172. afferma, che non si può, e non si dee nè profferire, nè scrivere Buonissimo. Il perchè noi non saremmo mica da riprendere, se nell’accrescimento di quest’Opera avessimo fatto luogo a questa maniera di nomi, imperciocchè, oltre il vederne di essi fatta conserva ne’ Greci dizionarj, e ne’ Latini, per altro modo non potrebbero coloro, che dall’uso apprendere nol possono, sapere, se alcun diminutivo, o superlativo ec. fia ben detto, o no. Perciò non istimiamo mal fatto l’aver posto la V. Buonissimo corredata coll’autorità del Bembo, e Bonissimo con quella del Boccaccio, donde appare la prima tenere alquanto del forestiero, dove la seconda è più nostrale, e migliore. Pure noi non ne siamo andati in traccia a bella posta, ma qualora nello spogliare i buoni autori ci siamo avvenuti in qualche bell’esempio, non abbiamo trascurato di porre con quel solo esempio, o poco più un tal nome; il che si è voluto quì avvertire, perchè alcuni non sospicassero, che tutto l’accrescimento di tante voci consistesse nella giunta de’ superlativi, e diminutivi unicamente, o pure in una notabile somma di essi.
Proprietà della nostra favella comune con altre, ma particolarmente colla Greca è il convertire gl’infiniti di tutti i verbi in nomi sostantivi, aggiugnendo loro 1’articolo; perciò, avvertendolo quì una volta per sempre, non gli abbiamo tratti fuori da per se, ma sì bene, sull’innanzi de’ passati compilatori, lasciati co’ loro verbi, dove esempio non se ne sia trovato, ove sieno usati nel numero del più, come gli Abbracciari, i Parlari ec. salvo, che alcuni pochi, come Fallire, Salutare ec. che trovandosi nel vecchio Vocabolario, checchè ne fosse cagione, solamente nel numero del meno, tuttavia si sono lasciati correre, poichè siamo andati a rilente, quanto più s’è potuto, in iscemar nulla, perchè tosto sarebbero stati in campo i lagni di coloro, i quali vituperando, e dispregiando ogni cosa, solamente apprezzano ciò, che vedono mancare, quantunque non sia in niuna guisa bisognevole; che se noi non avessimo avuto in mente questo rispetto, si sarebbe presa maggior licenza per ridurre il tutto a un divisamento più stabile, e più ordinato.

§. II.

Appresso la voce si pone la definizione di essa con quella maggior brevità, che è stato possibile; nel che si è pensato più a spiegare la natura della cofa definita, che ad attenersi strettamente alle regole filosofiche; di che talora, quantunque ben sapessimo la definizione, che di alcuna cosa ne danno gli scientifichi, abbiamo amato meglio per maggior chiarezza, o per altra simigliante cagione, di farne una definizione non tanto rigorosa, e che anzi si può appellare dichiarazione, o spiegazione, ma che maggiormente ci dà contezza del valore di quella cotal voce. Per cagione d’esempio si poteva definire la Cissoide: Linea curva inventata da Diocle per ritrovamento delle due medie proporzionali, e si descrive ordinando a qualsivoglia punto del diametro d’un mezzo cerchio una quarta proporzionale alle tre già continovamente proporzionali, che sono nel mezzo cerchio, l’ascissa, l’ordinata, e il resto del diametro; dove oltrqa essere una troppo lunga intemerata, niuno per certo intenderà, che

cosa sia questa Cissoide, se non chi profondato nelli studj della geometria avrà d’altronde saputo, che cosa sia questa linea, senza ricorrere al nostro Vocabolario. E l’istesso sarebbe addivenuto alla V. Concoide, se si fosse definita: Linea curva inventata da Nicomede per la duplicazione del cubo, adoperata ancora per divider l’angolo in tre parti, e si descrive, allorchè una retta indefinita passando sempre per un polo fisso va girando, e con un punto determinato in essa rade una linea data di posizione, e con un altro distante da esso per un dato intervallo superiore alla data linea va disegnando essa curva. Quando ci siamo avvenuti in qualche esempio, che ci somministrava la definizione, ci siamo di buona voglia astenuti dal definirla, mettendo in principio quel tale esempio, o pure in secondo luogo, se è de’ Comentatori di Dante, cioè dopo 1’esempio di quel divino poeta, che allora abbiamo prima di tutti collocato. Per quello, che risguarda questa parte delle definizioni, molta fatica, e non piccolo studio si è speso nello esaminarle a una a una per levarne molti errori, che erano scorsi, come tutto giorno veggiamo nell’Opere grandi intervenire. Così per via d’esempio alla V. Eoo, Occidentale, si è fatta gran mutazione, avendolo tramutato in Orientale, che tale è il significato della V. G. Eoo, e tale si vedeva essere dall’esempio del Tasso Ger. 1. 15. Sorgeva il nuovo sol da’ liti Eoi. Parimente alla V. Fuoco, termine de’ geometri, linea particolare in alcune figure, è bisognato racconciare la definizione, non essendo mai il Fuoco presso i mattematici nome d’una linea, ma bensì d’un punto. Molte volte in luogo della definizione abbiamo posto una voce dello stesso significato, che comunalmente s’appella sinonimo, nel che fare ci siamo ingegnati di cercare i più somiglianti, ed equivalenti, che per noi si è potuto; pure noi non ci diamo ad intendere, che questi sinonimi in una così grande immensità di vocaboli, e in certe differenze insensibili, comprese solo da un delicato pensamento, dietro a cui non può ire la favella nostra totalmente, sempre sieno in tutto, e per tutto corrispondenti a un puntino, e da potersi usare scambievolmente in qualsivoglia congiuntura, e metter loro accanto i medesimi aggiunti, i medesimi verbi, e le preposizioni medesime, e insomma nella stessa guisa, e, per dir così, co’ medesimi abbigliamenti acconciargli, e rivestirgli.

§. III.

Dopo la definizione, o spiegazione abbiamo soggiunta la V. Latina, e dopo essa la Greca, nel che, oltre avervi fatte alcune correzioni dove faceva d’uopo, abbiamo molto atteso all’accrescimento, che in questa parte si troverà assai notabile, essendo in ciò stati assai ristretti i nostri antecessori nelle passate impressioni. E non solo alle voci primarie si sono apposte le loro equivalenti Greche, e Latine, ma a’ proverbj, alle frasi, e alle diverse maniere di dire altresì, per quanto la natura della cosa il comportava, che alcune nol pativano in modo veruno; posciachè gli antichi scrittori Greci, e Latini, come di religione, di leggi, di costumi, e di tempi diversi da’ nostri, non possono avere ne’ loro scritti certe espressioni corrispondenti a quelle usate da noi, che abbiamo alle mani cose troppo diverse dalle loro, e troppo da essi diversamente pensiamo. Laonde qualora non si son potute trarre da autori del secolo buono, si ha avuto ricorso non solo ad altri più bassi, ma anche a quelli, che hanno scritto dopo perduta la Lingua latina, e in questo caso, come fecero gli ultimi compilatori di quest’Opera, si è nominato l’autore, o si è molte volte contrassegnata la voce con una stelletta *; il che quasi sempre è avvenuto, quando sieno state parole di religione, o di scienza, perchè allora ci siamo

valuti di quei termini, co’ quali si spiegano ordinariamente queste materie, come si ravvisa ne’ nomi dell’erbe, e delle piante, o in quelli appartenenti a medicina, a filosofia, astronomia, geometria ec. ne’ quali non si può uscire dal linguaggio de’ professori di queste facultà. Con tutto questo però certi vocaboli, e certe frasi, che sono totalmente nostre, o che esprimono usi nostrali, e alludono a cose nostre domestiche, è bisognato lasciarle senza il Latino, e il Greco corrispondente, perchè a ricercare minutissimamente tutta la Latinità, e la Grecità barbara, e non barbara, impossibile era il rinvenirlo, e il circoscriverle con una lunga filastrocca di parole era peggior rimedio, che il lasciarle così senza nulla, come nella V. Affettatore, Affibbiatoio, Affricogno, Belgiuino, Bussetto ec. Si avverta però, che in alcune voci, che hanno allato un sinonimo per loro dichiarazione, se si è tralasciato il Latino, e il Greco, si sarà fatto, perchè era stato posto a quel sinonimo, laonde ci paruto superfluo il ripeterlo, come in Arrangolare, Bieta, ec.

§. IV.

Quel, che rende più pregevole il nostro Vocabolario sopra tutti quelli dell’altre lingue, si è l’esser ciascuna sua voce accompagnata da una copiosa ricchezza d’esempj, il perchè senza taccia di burbanza peravventura più giustamente, che quelli dell’altre lingue, questo si potrebbe appellare un gran tesoro del nostro linguaggio. I nostri maggiori gli presero dagli autori antichi, e in mancanza di essi, o per confermazione de’ medesimi, e per maggior chiarezza del significato d’alcuna voce, o per mostrarne l’uso de’ nostri dì, da’ moderni; per la qual cosa si sono sempre posti prima i luoghi degli scrittori dei 1300. e poscia quelli degli autori de’ tempi più bassi, il che non era stato puntualmente osservato nell’ultima stampa. Da noi in questa parte ancora è stata notabilmente accresciuta quest’Opera, ma non vorremmo già, che altri anche quì si facesse a credere, che in ciò fosse stata superflua, e vana la nostra fatica, e fatta senza ragione, e senz’ordine, e laddove più in acconcio ci veniva, sicchè ad altro non serva, che ad ingrossare il volume; perchè il fatto, non istà così. Eccovi quei soli casi, ne’ quali si è stimato ben fatto l’arrogere qualche esempio; o quando egli vi mancava del tutto: o quando ve ne era un solo, e la voce non fosse un superlativo, o altro nome simigliante: ovvero quando 1’esempio contiene la definizione, o la spiegazione della voce: o allorchè gli esempj erano di moderni, e ci è avvenuto di trovarne alcuno presso gli antichi: o quando erano tutti di prosatori, e noi ne avevamo in pronto alcuno di poeta, e così per lo contrario: o erano tutti di testi a penna, e noi ne sapevamo alcuno cavato da’ libri stampati, che si possono riscontrare. Ne’ verbi si è un poco più allargato la mano, perchè altri vegga, con quali casi s’accoppino, e possa osservare le varie mutazioni de’ tempi loro, delle quali le più strane non si sono tralasciate giammai, qualora trovavamo d’averle notate ne’ nostri spogli degli autori. Perchè faccendosi a considerare tutte queste ragioni niuno ci riprenderà in quella ampliazione, poichè quello, che non verrà a uopo a uno, verrà ad un altro, e in un’Opera così universale non si può pensare alle persone particolari, ma bensì alla varietà di tutti coloro, che se ne debbono servire, e in ispezie a’ forestieri. Ma facciam ragione pur co’ nostri in voci ancora, che non sieno verbi, e pognamo caso, che nella V. Schiatta non vi sia altro, che due esempj del Bocc. Introd. O quante memorabili schiatte ec. si videro senza successor debito rimanere! e di Dant. Par. 16. Udir come le schiatte si disfanno; i quali esempj sembreranno loro a sufficienza.

Ma dicanci adesso, se Schiatta si possa dire degli animali irragionevoli, e se non solo de’ domestici, come de’ cavalli, e de’ cani, ma anche de’ feroci, e salvatichi, come de’ lupi, o leoni: o se finalmente delle piante, e degli alberi. Certo niuno, o poco meno che niuno saprà dircene niente, nè il Vocabolario darebbe loro veruno aiuto, se non vi fossero altri che i due mentovati esempli. Oltrechè i molti esempj, e di varj autori danno una più sicura riprova dell’uso comune, e indubitato d’una voce, conciosiachè quelle, che dopo di se non ne hanno che un solo, sono da adoperarsi con cautela, come avviene, per dirne pur una, nella V. Fontaneo, che difficilmente si troverebbe modo di usarla con garbo, e in maniera, che bene stesse o nello scrivere, o nel favellare. Moltissimi poi erano quegli, e per dir così innumerabili, che non avevano citazione o di libri, o di carte, o di cosa somigliante, a’ quali in questa edizione le abbiamo quasi sempre, o bene spesso aggiunte, come alle Novelle di Franco Sacchetti, al Dittamondo di Fazio Uberti, al Pataffio di Ser Brunetto Latini, e molte volte anche al suo Tesoretto, alle Pistole di Seneca, a’ Fioretti di San Francesco, alle Pistole del Beato Giovanni dalle Celle, a’ Poeti antichi, all’Opere diverse di Franco Sacchetti, allo Zibaldone dell’Andreini, al Buti, al Maestro Aldobrandino del codice, che fu di Pier del Nero, al Serapione già di Baccio Valori, alla Vita di Barlaam, al Montemagno, alle Storie Pistolesi, alla Cronica del Morelli, al Volgarizzamento di Lucano, alle Prediche di Fra Giordano del codice del Salviati, alla Cronica del Compagni, al Convito di Dante, alle Lettere del Boccaccio, e alla Vita di Dante scritta dal medesimo, al Ciriffo Calvaneo, al Libro di sonetti, al Morgante del Pulci, al Burchiello, alle Rime del Bellincioni, all’Opere del Casa, e del Segretario Fiorentino, alla maggior parte delle Commedie, alle Prose e Rime del Firenzuola, a’ Discorsi del Borghini, all’Ercolano del Varchi, alla Nencia, alla Beca, a’ Canti Carnascialeschi, alle Storie del Segni, e del Varchi, alle Lettere del Caro, alla Coltivazione dell’Alamanni, all’Api del Rucellai, alle Stanze del Poliziano, alle Satire del Soldani, e a molti altri; la quale aggiunta, avvegnachè sia piccolissima, e consista in un numero, o due, ci è stata d’immensa fatica, e non è di minore utilità, potendosi per questa guisa farne il riscontro agevolmente, tanto più che ora per opera d’alcuni nostri Accademici molte delle sopraddette scritture sono state modernamente date alla stampa, e molte altre tra non guari usciranno pure alla luce. Oltre questo abbiamo usata una malagevolissima diligenza, altrettanto però necessaria, di riscontrare a uno a uno tutti gli esempj, per quanto è stato possibile, citati nell’ultima edizione, con che non solo ci è venuto fatto di correggere moltissime citazioni, che per trascuraggine forse degli stampatori, o de’ copisti erano errate (il che ci ha dato più briga, che altri non si saprebbe immaginare) ma anche gli esempj medesimi; la qual cosa tanto spesso ci è avvenuta, che chicchessia ne potrà rimaner chiaro confrontando non più che una voce, o due, quali ch’elle sieno, della presente colla passata ristampa. Nè erano mica gli errori di poca importanza, ma di grandissima. Veggasi, se non altro, alla V. Infinità l’esempio delle Prediche del Segneri, che vi si leggeva così: Ci smentirebbero una infinità di mortificatissimi amoretti. Dove chi non vede come ben calzi a quel gentilissimo, e delicato vezzeggiativo d’amoretti l’epiteto di mortificatissimi? Non iscrisse già così il buon Padre Segneri: ma sì bene: Ci smentirebbero una infinità di mortificatissimi Anacoreti, che con isconcia metamorfosi erano stati convertiti in amoretti. Al contrario alla V. Cinico nome di filosofi austerissimi v’aveva questo esempio del Filocopo: L’ultima parte d’un grasso cinico, dove dee dire cinifo, che vale caprone; e così ha la stampa de’ Giunti. Per questo non bastando

l’emendargli, ci è bisognato talora tor via gli esempli, e talvolta la voce tutta, perchè corretti non facevano più a proposito, come nella V. Aurizzare, dove era questo esempio di Franco Sacchetti: La famiglia del capitano passando per la via sente questo romore, corre dentro, aurizza, e caccia in terra l’uscio della camera. Ma ritrovato con grande stento questo esempio, che è nella nov. 110. è stato necessario il cassarlo, perchè non vi è la V. aurizza, ma dice: avri za, cioè apri quà, contraffacendosi quivi il parlar forestiero del capitano. Così pure quello di Fra Iacopone da Todi, che nel Vocabolario si leggeva scorrettamente: Bene s’aurizza il tuo mercato In propria tua utilitade; ritrovatolo con non minor fatica, per non esser nè pur quì la citazione, si è veduto, che è al lib. 2. cantico 20. stanza 23. e dice: D’ogni ben sì t’ha spogliato, E di virtù spropriato, Tesaurizzi il tuo mercato In tua propria vilitate. Perciò si è trasportato alla V. Tesaurizzare. Allo stesso fine nella V. Abbellire si è levato il luogo dell’Ameto, perchè nella stampa de’ Giunti, di cui si valsero anche gli ultimi Compilatori del Vocabolario, si legge così: E con molti altri semi, de’ quali la terra s’abbella, e non come ha il Vocabolario s’abbelliva, laonde si è posto alla V. Abbellare. E se alla V. Affatturato non vi è più l’esempio del Passavanti, se ne cerchi alla V. Fatturato, dove veramente si doveva porre. Alcuni però non si sono nè pur traportati, ma si sono lasciati fuori del tutto, perchè al luogo debito non ne faceva mestiero, come verbigrazia tra gli altri molti l’esempio di Pier Crescenzio 1. 5. 4. Coloro, che dimorano in luoghi alti, sono sani, e forti, e che molto affanno sostengono, che era alla V. Affanno, il quale si è tolto affatto, perchè la buona stampa, e i buoni testi a mano leggono: e che molta fatica sostengono, nè si è trasferito alla V. Fatica, perchè vi sono esempj in buondato. Con questa diligenza siamo venuti a curare eziandio una troppo più sconcia magagna, come era quella di valersi del medesimo esempio a confermazione di due voci diverse leggendolo diversamente, e quasi acconciandolo a capriccio secondo il bisogno, il che si vedea per cagione d’esempio nelle Voci Abbigliamento, e Abbagliamento, in amendune le quali lo stessissimo esempio si adduceva di Tac. Dav. 4. 94. e pure in quell’elegante Volgarizzamento è scritto solo Abbagliamento, che appunto corrisponde al Latino fulgorem. Così leggendosi per lo innanzi in queste voci Scaggiale, e Scheggiale il medesimo esempio del Bocc. nov. 72. si è cancellato in questa seconda, e lasciato stare nella prima, perchè così hanno dietro al Mannelli le buone stampe. Nè si può mica in questi casi addurre per iscusa la varietà, che talora s’incontra notabilissima negli antichi libri, imperocchè oltre l’essere la Traduzione di Tacito assai moderna, di essa non si cita, nè si può ragionevolmente citare altro, che la stampa di Firenze del 1637. e nell’esempio del Boccaccio addiviene lo stesso, perchè quantunque del Decamerone ve ne abbiano molti testi, pure non s’attende ad altro, che a quello scritto con miracolosa accuratezza da Francesco di Amaretto Mannelli, e a quelle stampe, che più gli sono andate di presso, le quali hanno costantemente Scaggiale, e non mai Scheggiale. Quando poi della stessa opera ce ne sono più copie egualmente buone, egualmente antiche, ed egualmente pregevoli, ma infra loro molto, e molto, qual che ne sia la cagione, diverse, il che sovente accade ne’ nostri antichi autori, noi talora l’una, talora l’altra citiamo secondochè in acconcio torna del fatto nostro; laonde non è da prendere maraviglia, se alle VV. Dirupato, e Dirupo vi si riporta lo stesso esempio delle Prediche di Fra Giordano, e così in alcune altre Voci, poichè cotanta è la varietà delle copie sì di queste Prediche, sì delle Pistole di Seneca, e d’altre così fatte scritture, che si possono meritamente come distinte, e diverse reputare; e comechè queste mutazioni possano trarre la loro origine

da’ copisti, non pertanto per esser germogli fioriti nel buon tempo del 300. si deono tra’ più cari ornamenti di nostra favella collocare. Non meno utile, per nostro avviso, ma non di minore difficultà ripiena è stata la briga, che ci siamo presi d’apporre il nome dell’autore a quelli esempj, che ne erano senza, il che si può vedere nelle VV. Abbandonamento, Ago, Avvisamento, Casolaraccio ec. L’istesso appunto si può dire quanto all’utilità, e quanto alla malagevolezza dell’aver dovuto rendere molti esempj a loro veri autori, ch’erano stati ad altri attribuiti, come alla V. Cerchiato l’esempio ascritto al Libro di Sonetti è de’ Canti Carnascialeschi, alla V. Incastagnare l’esempio della Storia d’Aiolfo è veramente delle Storie Pistolesi ec. Nè di ciò contenti un’altra diligenza abbiamo adoperata, ed è, che quando alcuna Voce, che ora non è del tutto in uso, era corredata d’un solo esempio, abbiamo avuto sempre ricorso agli ottimi testi a penna per non essere ingannati dalle stampe per lo più scorrette, e sempre dubbie. Da questo è avvenuto, che è stato necessario qualche volta cancellare da questo libro alcune Voci, che erano appoggiate sopra un sostegno, che posava in falso, cioè su qualche fallo degli stampatori, o qualche sbaglio preso nel leggere, o nel copiare gli antichi manoscritti, la qual faccenda non è da prendere a gabbo. Ciò si vede, per dirne pure alcuna, nella V. Cimieria, che si fondava sull’autorità d’un sol luogo di Matteo Villani libr. 9. cap. 103. Le burbanze furon grandi di sopravveste, e cimierie; e così per verità si legge nella buona edizione de’ Giunti di Firenze; ma nell’ottimo, e unico testo a penna, che contenga gli ultimi libri di questo storico, donde per conseguenza son cavate tutte le stampe, e che fu già di Giuliano de’ Ricci, e ora appo l’Innominato nostro Accademico Corso de’ Ricci diligentemente si conserva, si legge così: Le burbanze furon grandi di sopravveste, e cimieri, e tale venne in figura del Re di Francia, tale del Re d’Inghilterra, e così degli altri Re, e Duchi, e Signori. Ma chi il lesse, o il trascrisse, congiungendo la parola cimieri colla copula, che ne veniva dopo, comechè i testi antichi sieno scritti universalmente con poco buona ortografia, e con poca distinzione tra l’una parola, e l’altra, creò la strana V. Cimieria, che mai non fu in Toscana. E nella stessa guisa alla V. Dipunto vi si allegava questa sola autorità del libr. 10 cap. 100. di Matteo Villani: Luigi lo Re di Cicilia ec. lasciando l’usate vanità, dipunto dal giudizio di sua coscienza ec. si mise umilmente in pellegrinaggio; e così sta nella stampa da noi puntualmente riscontrata. Tuttavia questa voce non ci sembrava, ch’avesse punto cera di nostrale, e per quanto noi ci fossimo lungamente andati avvolgendo per le scritture di nostra contrada, non ci eravamo giammai in essa avvenuti. Il perchè dato di mano al suddetto unico manoscritto trovammo, che dicea: Luigi lo Re di Cicilia ec. lasciando l’usate vanitadi, punto dal giudizo di sua coscienza ec. si mise umilmente in pellegrinaggio, e così si dovea a dipunto togliere il di, e aggiugnerlo a vanità, faccendolo dire vanitadi. Molte altre volte però ci siamo prevaluti de’ testi scritti a mano, quando agio ne è stato prestato, e quando ci è paruto necessario; per lo che alcuna fiata ci siamo allontanati da tutte l’impressioni, nel qual caso, qualora la varietà era notabile, non si è tralasciato per lo più di avvertirla in parentesi dopo l’esempio, come si può osservare alle VV. Cancellare, Livrea ec. Nel citare i capitoli, le carte, o altra divisione di qualche autore stampato, seguitiamo i numeri di quella stampa, che vien reputata la migliore, e di cui si farà menzione distinta nell’Indice degli autori; quantunque per inavvertenza degli stampatori sieno queste numerazioni scambiate, come incontra sovente ne’ Villani, e spezialmente in Giovanni, nel Filocopo, e nell’Amorosa Visione,

in Crescenzio, e in alcun altro. Si è fatto così, perchè seguitando la numerazione giusta, bisognava, che chiunque voleva riscontrare gli esempli, si prendesse innanzi tratto la pena di rassettare sopra tutti gli autori suddetti le numerazioni; cosa rincrescevole, e da non ne venire a capo così di subito; e trascurando questa avvertenza non avrebbe ritrovato nulla, e si sarebbe fatto a credere, che il Vocabolario avesse fallato nella citazione. Con questa occasione si sono allungati quelli esempj, che erano cotanto tronchi, che o non avean senso, o l’avean tanto sconciamente diverso, e strano dall’intenzione dell’autore, che era propriamente un cordoglio; dove ora, che sono interi, è un piacere il leggere tante gravi sentenze, tanti detti morali, tanti bei motti, tante argute facezie, tante gentili espressioni, che in una così abbondante copia d’esempli sparsamente si racchiudono. Oltredichè in essi così mozzi non era possibile il rinvenire qual fosse la forza di quella voce, anzichè talvolta se ne ritraeva contrario significato, o tutto diverso, come, per isceglierne alcuno tra un gran numero, nell’esempio di G. V. libr. 2. cap. 1. che si trovava alla V. Ammazzare, e dicea così: A uno a uno gli facea uccidere a un valico di camera ammazzandogli. Il quale strano troncamento fece aombrare anche gli ultimi valentuomini, che in questa Opera si affaticarono, poichè avanti a questo esempio apposero queste parole: Secondo G. V. par, che voglia dire percuotere con mazza. E di vero considerando questo luogo così dimozzato, non sembra, che significhi uccidere. Perchè che verrebbe mai a dire: A uno a uno gli facea uccidere a un valico di camera uccidendogli? Ma adducendolo intero, si toglie via ogni difficultà. Ecco come lasciò scritto quello non men verace, che forbito storico: A uno a uno gli facea uccidere a un valico di camera, ammazzandogli non sentendo l’uno l’altro. Alla V. Falcone vi ha questo esempio: Morg. Gatti, grilli, e falconi, il quale, per essere così meschinamente corto, e cotanto manchevole, non può dimostrare il verace valore di questo nome; nè si può andare a vederlo nel Morgante, non si sapendo il luogo appunto, sicchè tanto può significare uccello di rapina, che strumento militare, anzi piuttosto pare nel primo significato per esser congiunto con due altri nomi d’animali; di più ancora ci ponevamo a mal in corpo a ricercare nel Morgante di questo esempio, dubitando non forse la citazione fosse scambiata, e che dovesse dire Ciriff. Calv. 1. 4. dove si legge: E gatti, e grilli, e falcon facea fare. Ma non perdonando a fatica, il trovammo al libr. 10. st. 27. del Morgante, e vedemmo essere quivi voce di milizia, leggendovisi: E far pel campo variati strumenti Per Montalban, gatti, grilli, e falconi. L’avere allungato così gli esempj viene anche ad essere troppo più utile in quelli tratti da’ testi a penna, che non sono se non per le mani di pochissimi, laonde è impossibile il riscontrargli. Alla mancanza di alcuni tempi è usanza di nostra favella di supplire con gli addiettivi, perciò non dee recar maraviglia, se qualche esempio allegato a confermazione di un nome, sembra piuttosto di verbo, ovvero all’incontra, alcuno di verbo appaia di nome, come verbigrazia alla V. Assaggiare l’esempio del Boccaccio nov. 50. 14. Per le quali cose la nostra cena turbata, io non solamente non l’ho trangugiata, anzi non l’ho pure assaggiata, si poteva anche addurre al nome add. Assaggiato.

§. V.

In moltissime Voci appresso il primo significato, che è il proprio, e il più comune, si è collocato sotto varj paragrafi il significato men proprio, o

qualche frase, o proverbio particolare appartenente a quel vocabolo, e si è notato parimente quando è presa figuratamente, o per metafora, o per similitudine, avvertendo d’osservare la regola tenuta nell’altra compilazione di questo Vocabolario, di non considerare una Voce come metaforica, ma come usata nel proprio senso, quando la metafora non nella parola, ma in tutto il concetto consiste. I verbi si traggono fuori nell’infinito attivo, ma negli esempli il sentimento attivo, e passivo si è posto senza distinzione. Passando poi a’ neutri, o a’ neutri passivi, allora quasi sempre si sono posti a parte sotto un paragrafo, e quando per altro motivo si sono collocati mescolatamente, non si è mancato molte fiate di avvertire in principio, quel tal verbo usarsi attivo, e neutro, e neutro passivo; e se talora per maggior brevità ci siamo risparmiati la briga di notare la molteplice natura di qualche verbo, si è considerato, che gli esempj il mostravano senza di noi apertamente. Neutri chiamiamo quei verbi, che non sono accoppiati col quarto caso, in cui si termini l’azione, il quale i Gramatici chiamano paziente, e neutri passivi quelli, che mancando del detto caso, si costruiscono nel numero del meno colle particelle Mi, Ti, Si, e in quello del più coll’altre loro corrispondenti Ci, Vi, Si, come vien divisato dal Varchi nel suo Ercolano a c. 177. Ma si dee osservare, che alcuna volta per vezzo dello scrittore queste particelle restano soppresse, e vi si sottintendono, del che si è fatto in qualche caso avvertito il lettore; ma quì sia detto senza più generalmente per sempre. Passando poi a’ varj significati d’una medesima Voce, quando questi sono molto tra loro diversi, cioè una volta nomi sustantivi, un’altra addiettivi, una volta avverbj, un’altra preposizione, o significano cose, che non abbiano alcuna connessione tra loro, come Busso albero, e Busso romore, Botta animale, e Botta percossa, allora cotali parole si sono notate ciascuna da per se. Ma quando i loro significati non sono tanto distanti, si sono ordinati sotto una Voce stessa, distinti co’ suddetti paragrafi, i quali in questa edizione si vedranno tutti posti a principio di verso, e numerati a uno a uno per maggior distinzione, e agevolezza, onde si possano più facilmente citare (come ci addiviene sovente) e ritrovargli.

§. VI.

Ci siamo astenuti in tutto, e per tutto dall’assegnare l’etimologie, e l’origine di qualsivoglia Voce essendo per lo più incerte, e dubbie, e sopra cui vi è bene spesso da piatire, e anche per non esser cosa appartenente a quest’Opera; oltrechè omai ne è stato assai scritto da molti altri autori, e in particolare da alcuni nostri Accademici. Per queste stesse ragioni appunto non siamo entrati nelle regole, e ne’ precetti gramaticali in modo veruno, se non se forse in alcun caso, in cui senza questi non si poteva spiegare pienamente la natura d’alcuna Voce; ma ciò si è fatto diradissimo, e con cautela, e con addurre l’eccezioni fondate sopra ottimi, e copiosi esempj, sapendo pur troppo, che poche sono in questo genere le regole universali. Ci rimettiamo pertanto al Bembo nelle Prose, al Varchi nell’Ercolano, alle Annotazioni de’ Deputati sopra la correzione del Decamerone, al Salviati ne’ suoi Avvertimenti pur sopra lo stesso libro, al Buommattei nella sua Gramatica, e in ispezie al Cinonio, o a chiunque sotto tal nome s’ascose, che soventemente citiamo, come fecero i nostri maggiori nell’ultimo Vocabolario, sì perchè le sue accuratissime osservazioni il vagliono, e sì ancora perchè sono in tal forma divisate, che si adattano totalmente al nostro lavorìo. Non per tanto, quando ragione il richieda, ci siamo da esso liberamente dilungati, come nelle

VV. Cui, e Quivi. Perchè avendo egli detto, che la V. Cui si trova nel primo caso, e portandone esempj di Fazio Uberti nel Dittamondo, che, come alla più gente è manifesto, fu stampato oltre ogni immaginazione scorrettissimo, ci attenemmo al solito soccorso de’ buoni testi a penna, e in essi trovammo, che in quei luoghi non altrimenti si legge Cui, ma Chi. Per questa cagione siamo stati sull’orme de’ nostri maggiori, che alla V. Cui dissero: Trovasi in tutti i casi, fuori che nel primo. Ma ci siamo da essi dipartiti, dove dicevano nell’ultimo §. della stessa voce: Nel primo caso pur si legge usata la particella Cui, e particolarmente da Fazio Uberti autore antico, ma non osservante, forse perchè sbandito in gioventù dalla patria, la naturale sua pura favella colle straniere forme confuse. Ma questo nostro nobilissimo cittadino non è poi a buona pezza cotanto scorretto, come uom dice, e almeno in questi versi del libr. I. cap. 29. fu corretto, e regolato, poichè non disse, come ha dietro al Cinonio il Vocabolario: Cui ti potrebbe dir di molti danni, Cui ti potrebbe dir la lunga spesa, Ch’allor soffersi per tanta contesa, Cui ti potrebbe dire i gravi affanni. Ma sì bene come hanno i testi Laurenziani, e molti altri non meno antichi, ed eccellenti: Chi ti potrebbe dir li molti danni, Chi ti potrebbe dir la lunga spesa, Chi ti potrebbe dir li gravi affanni, Ch’allor soffersi per tanta contesa. E il luogo del Boccaccio nella Griselda nov. 100. 4. dove si legge: Affermandovi, che cui che io mi tolga, se da voi non fia come donna onorata, voi proverrete con gran vostro danno, quanto grave mi sia l’aver contra mia voglia presa mogliere a’ vostri prieghi; che nel Vocabolario è recato come per testimonianza di Cui nel primo caso, si vuol meglio considerare, e vedrassi, che quivi non è mica primo, ma quarto, non importando altro quel cui che, se non qualunche, se non è forse detto a quella medesima foggia, che Virgilio lasciò scritto nel primo dell’Eneide: Urbem quam statuo, vestra est. Parimente l’altro esempio del Dittamondo libr. 5. cap. 21. che arreca il Cinonio non fa forza, non istando come egli l’allega ingannato dalla stampa: Dimmi cui son costor, se a mente l’hai; ma come i sopraddetti testi nominati quì sopra: Dimmi chi son costor, se a mente l’hai. Venendo poi a ragionare della V. Quivi, che il Cinonio, e il Vocabolario sulla costui autorità, e con ricopiarne senza altra esamina gli esempli da lui recati, vogliono, che si possa tirare al significato della V. Quì denotante luogo, dove è colui, che parla; noi stimando ciò non poter esser vero, non ci siamo appagati mai, finchè non si sono riscontrati gli esempli e del Boccaccio nelle Lettere, e del medesimo nella Vita di Dante, i quali malagevolmente ritrovati, si è veduto sulla buona edizione di Firenze del 1723. che il primo esempio, che è a c. 288. ha: Sono tornato a Certaldo, e quì ho cominciato ec. a confortare la mia vita. E l’altro a c. 244. Pervenne a conoscere della divina essenzia, e dell’altre separate intelligenzie quello, che per umano ingegno quì se ne può comprendere. Perlochè da questa V. si è levata questa falsa significazione, da che negli esempli suddetti non quivi come ha il Cinonio, e il Vocabolario, ma quì correttamente si legge.

§. VII.

In fine di quest’Opera daremo gl’Indici necessarj; il primo sarà di tutti gli autori sì antichi, che moderni, delle cui autorità ci siamo valuti. Il secondo di tutte le abbreviature, colle quali si sono citati gli autori suddetti, nel qual Indice daremo anche notizia di quali impressioni, e di quali testi a penna ci siamo serviti, referendo esattamente appresso di chi di presente si conservano, perchè si possano, quando uopo fosse, riscontrare, nel che proccureremo d’adoperar maggior esattezza,

e puntualità, che non fu adoperata nel passato, come si potrà agevolmente vedere confrontando l’uno coll’altro. Delle stampe si sono elette quelle, che il lungo uso di esse ci ha fatto chiari essere le migliori, avvegnachè, come detto è, non siamo loro andati dietro ciecamente, anzi ci rimembra talora essercene allontanati per seguire qualche ottimo testo in alcuno particolar caso, come alla V. Assisa nell’esempio di G. V. 12. 107. 3. dove avendo abbandonato la stampa de’ Giunti, quantunque buona, ci siamo attenuti a’ libri scritti a mano; così alla V. Sì veramente nell’esempio dell’Albertano, e in altri molti. E perchè assai di questi testi, che furono citati l’altra volta, adesso non si trovano più, almeno presso coloro, che accennava il Vocabolario, perciò in quella vece se ne sono ricercati altri della maggiore antichità, che per noi si è potuto, che le medesime opere contenessero, come è avvenuto del Volgarizzamento di Lucano di Giovan Battista Strozzi, in luogo del quale ci siamo serviti d’un antico, e ottimo de’ Signori Venturi, e non si sapendo più dove sia il Codice di Giovanni Villani, che fu del Picchena, nè quello dello Speroni, siamo ricorsi, oltre al pregiatissimo del Davanzati, a uno, che fu dell’Innominato nostro Abate Salvini, e così si è fatto di molti altri parimente. Questo Indice pure si troverà molto accresciuto, poichè nell’ultima stampa molti autori, di cui si allegavano le parole per entro l’opera, non erano stati per trascuranza riportati nella Tavola dell’abbreviature, come i Capitoli della Compagnia dell’Improneta, e di quella de’ Disciplinati, che si citavano alle VV. Traboccare, e Brevemente: Romolo Bertini alla V. Posare: Il Libro degli adornamenti delle donne, che si allega alla V. Bollicola: Luca da Panzano alla V. Incignere: Lorenzo Lippi nel Malmantile alla V. Gettare: Michelagnolo Buonarroti nella Fiera, e nella Tancia alle VV. Ballerino, e Zoppicone: Messer Pier da Reggio alla V. Dentelliere: il Re Ruberto alla V. Aghirone: Francesco Ruspoli alla V. Gallione: Ottavio Rinuccini nella Dafne alla V. Inchinare: Il Trattato di ben vivere, e il Trattato di castità, e più altri di simiglianti Trattati alle VV. Ingegno, Ginnare, Infanzia ec. i Viaggi al Monte Sinai alla V. Bestialmente. Come ancora di molte Opere di autori citati non era stata fatta menzione, quantunque i nostri Accademici n’avessero da esse presi gli esempj, come del Gello del Giambullari, del Trattato di Penitenza, e della Medicina dello spirito del Cavalca, de’ Proverbj del Cecchi, della Favola d’Orfeo del Poliziano, e d’altre delle sì fatte, le quali si vedranno tutte notate in questo Indice con ogni maggior distinzione. Tra questi autori si comprende un gran novero d’antichi Volgarizzamenti per la maggior parte tratti dall’antico Franzese, benchè l’opera fosse scritta in Latino, laonde nell’uso di questi bisogna procedere con cautela, poichè per la rozzezza di quei tempi cotali traduttori non hanno ben inteso l’originale, o si sono avvenuti a testi scorretti, perciò non si vuole sempre valersi del Latino per ispiegare alcuna voce di detti Volgarizzatori, e così abbiamo fatto noi, considerando le loro opere non come traslatate da un altro idioma, ma come dettate da primo in volgare, quantunque in alcuna parola si ravvisi essersi lasciato il traduttore trarre a molte locuzioni, che sentono del forestiero più, che non usava per ordinario in quell’età. Il terzo Indice conterrà tutte le voci Greche, e il quarto le Latine, che si saranno poste a rincontro delle Toscane, acciocchè altri possa, quandochè gli bisogni, trovare nella nostra lingua le voci, o le maniere di favellare a qualunque di esse, per quanto si può, e per quanto a noi è sovvenuto, corrispondenti.


§. VIII

L’Ortografia dell’ultima stampa del Vocabolario è quasi l’istessa, che l’Infarinato nostro propone ne’ suoi Avvertimenti sopra il Decamerone, e seguita ne’ suoi libri, come protestarono i nostri maggiori, i quali solo da essa si dipartirono in alcune cosette, che tenevano troppo del Latino, a cui per anco erano gli uomini di quella stagione soverchiamente attaccati. Noi abbiamo seguitate le vestigia medesime, toltone solamente dalla scrittura alcune superfluità, che non ardirono di abbandonare affatto i nostri antichi, per non offendere tanto gli occhi de’ leggitori, che ad esse erano di troppo gran lunga ausati. Così scrissero sempre huomo coll’h, dove noi abbiamo sempre scritto uomo senz’essa, stimando la prima guisa un residuo di latinismo, poichè nel nostro idioma l’uso dell’h in principio delle voci è superfluo per quello, che riguarda la pronunzia, e solamente l’ammettiamo per una distinzione da una voce a un’altra, come in anno nome de’ dodici mesi, e hanno dal verbo avere; nè perciò neghiamo, che altro contrassegno non si potesse usare, ma a noi è piaciuto questo, che già è in uso. Ma per recare le molte regole in una, abbiamo proccurato ognora, che la scrittura segua la pronunzia, e da essa non s’allontani un minimo che; e adoperiamo gli accenti, gli apostrofi, le aspirazioni, e gli altri segni a questi simiglianti, sì veramente che servano, o per denotare la mancanza di alcuna lettera, o per accennare come si debba pronunziare, o per distinguere il significato d’una stessa voce, che n’abbia due; e comechè ciò dal senso si potesse raccogliere, pure cotal segnale agevola molto l’intelligenza, e facilita sommamente la lettura. Per questo motivo abbiamo scritto è coll’accento, quando egli è verbo per distinguerlo dall’e copula, ed ho, e ha verbo coll’h per differenziarlo dall’o disgiuntivo, e dall’a preposizione ec. Nè, quando è negativa, si troverà sempre coll’accento, e senza, qualora è particella riempitiva, e coll’apostrofo per segno, che vi manca l’articolo i, e che quivi ne è preposizione. D’altra parte si è usato scrivere già, passerà ec. coll’accento, perchè altri non pronunzj gia, passera ec. che avrebbero senso totalmente diverso. Per lo contrario scrivendo so, no, e altre voci così fatte, non vi apponiamo accento, perchè non vi ha che fare cosa del mondo, posciachè quest’unica regola si dee osservare negli accenti, di non porgli su quelle voci, che non si possono leggere altrimenti, nè dare ad esse altro che un significato. Circa agli apostrofi però si vuol avvertire, che quantunque si adoperino per la mancanza d’una, o più lettere, non però sempre per cotal mancanza si è ricorso ad essi; perchè se una parola, che seguendone consonante non perderebbe giammai la lettera finale, per l’affronto d’una vocale viene a perderla, allora si è notata col segno dell’apostrofo questa perdita; così scriviamo: Ond’esta oltracotanza in voi s’alletta. Ma se fosse usanza il troncare quella parola ancor quando intoppa in una, che comincia per consonante, nel qual caso d’ordinario non si segna con apostrofo, allora non si è nè pur segnata incontrandosi con vocale; perciò cuor, pensier, veder, e altre simili voci, che si possono troncare seguane o vocale, o consonante, si sono scritte senza apostrofo; quindi non rechi maraviglia, se senz’esso s’incontrerà un quando è masculino, ma non già quando è femminino, poichè si può tanto scrivere un uomo, quanto un diamante, essendo ambi nomi masculini, ma non già un stella, nè un misericordia; laonde quando poi si scrive un’anima, o un’essenza, si dee apporvi l’apostrofo. Molte volte si trovano de’ vocaboli, che taluno congiugne insieme stranamente, e contra l’uso, e

la regola, talchè tu non potresti mai vedere cosa più spiacevole, come Daccanto, Daddosso, Ognaltro, Attalchè ec. e oggi sembra quest’abuso essersi moltiplicato sconciamente; altri per lo contrario scriveranno disunite quelle parole, che nol comportano per nessun modo; noi per non camminar ciecamente, e senza norma veruna, abbiamo scritte unite solamente quelle, che omai sono considerate, come una voce sola, e che si traslatano in una sola Latina, come Conciossiachè, Ognuno, Comecchè ec. che per Quum, Omnis, Quamvis ec. nella lingua Latina s’esprimono, e per tutto si scontrano nelle corrette scritture congiunte in una voce, la qual cosa non addiviene delle poco anzi riferite; laonde toltone forse alcun caso particolare, che impossibile è di legare sotto leggi generali, nell’accoppiare le voci abbiamo proceduto in cotesta guisa. I nomi proprj, come Roma, Greco, Alcibiade, Malespini, e alcun altro su questo andare si scrive con lettera maiuscola, ma quando i nomi sono comuni, non già; come padre, madre, stella, chiesa, poeta, marchese ec. che molti senza certo regolamento, e con offesa dell’occhio, e oscurità, e confusione della scrittura vogliono a tutti i patti cominciarli per maiuscola. E ben vero, che negli esempj de’ poeti i principj de’ versi, perchè si distinguano, si sono scritti, come si vuole sempre fare, con queste lettere, il che era stato per l’addietro trascurato; e quando entro agli esempj di commedie si trovano seminate maiuscole, sappiasi, che elle accennano i nomi degl’interlocutori. Alle regole suddette ci siamo strettamente in tutta quest’Opera attenuti, e se forse alcuna volta per isciagura ce ne siamo allontanati, ciò si dee ascrivere all’immensità d’un lavorìo cotanto vario, per cui e a’ copisti, e agli altri lavoranti, e in fine a coloro, che all’impressione assistono, quantunque abbiano adoperata quella diligenza, che per loro si poteva maggiore, può essere, che qualcheduna di queste minuzie sia trascuratamente scappata dagli occhi.

§. IX.

Queste sono tutte quelle cose, di cui credemmo dover fare avvertito il cortese Lettore, acciochè di quest’Opera faccia il convenevole uso, e ne ricavi quell’utilità, che ella ne può prestare, e sì ancora, perchè egli sappia tutta la nostra intenzione, ed il fine nostro nel compilarla, e con quale divisamento, e ordine, e regola l’abbiamo compartita, e quale industria, e diligenza, e senza fallo quale smisurata fatica ci abbiamo impiegata non con verun’altra mira, se non di arrecare giovamento a coloro, che sono del dolcissimo, e purissimo Toscano idioma innamorati, e di contribuire all’esaltazione, e nominanza della nostra patria, e della nostra omai cotanto illustre favella. Il che sia detto non mica per attaccar lode, che di ciò siam vaghi, nè bramosi in alcuna guisa; ma perchè altri vada più considerato avanti di biasimarci, e darci mala voce, e ciò non faccia a torto, e dove degni non ne siamo; anzi pensando, che in una sì sterminata impresa è quasi impossibile veder tutto, non voglia per picciol neo dannare da capo a piè così gran lavoro; che non da cuore scevro di animosità, e di generosi pensieri guernito, nè da occhio ragionevole, e che ragguardi sanamente, sarebbe il vituperare un’ampissima fabbrica, e ben disposta, e ricca d’ornamenti, e d’una beata abbondanza di ben mille comodi corredata, per una leggiera inavvertenza de’ lavoranti, che niente nocesse alla struttura universale d’un così vasto edifizio. E anche se talvolta alcuno incontra cosa, che non gli piaccia, non perciò la dee subito rigettare, e dannarla, perchè questo sarebbe un troppo presumere del proprio

giudicio, poichè può ben essere, che ella piaccia ad altri di non minore intelligenza dotati, e che a questi dispiacesse il divisarla, come colui vorrebbe; e finalmente se fossero udite tutte le ragioni, che ci hanno mossi a così fare, crediamo senza dubbio, che trarremmo nella nostra opinione peravventura anche coloro, che sono di contrario parere. Non già che noi presumiamo di non potere essere in alcune cose avvertiti, poichè le forze dell’ingegno, e i termini dell’umano sapere sono comunemente in tutti assai più, che altri non crede, limitati, anzi il gradiremo sommamente, quando ciò venga fatto per bella, ed onesta maniera, e ne sapremo altrui grado, e quel capitale ne faremo, che in questa stampa si è fatto di tutti coloro, che o in un volume a parte, o sparsamente ne avevano o delle correzioni, o delle giunte ne’ loro libri somministrate. Noi medesimi pure molte cose abbiamo osservate, e ne andiamo osservando tuttavia, di che speriamo poter fare appresso la fine una non dispregevole aggiunta anche d’altre voci, e d’altri esempj, in cui ci siamo imbattuti dopo trascorsa la stampa. Ci facciamo adunque a credere, che coloro, che saranno d’una gentil benignità dotati, e gli animi avranno dilungi da ogni mal talento, gradiranno l’ottima volontà, ed il sincero cuor nostro, che tutta la più forte applicazione, e un lungo, e pertinace studio abbiamo impiegato, per adempire, quanto più per noi s’è potuto, al carico della nostra Accademia, che fa professione di cogliere tuttora il più bel fiore di nostra lingua, e all’universal brama di tanti, non che Italiani, ma di nazioni straniere, che non solo il nostro bel linguaggio, e la purità del medesimo hanno in pregio, e nelle loro scritture con non ordinarie laudi il commendano, ma ancora s’ingegnano con ogni loro sforzo di parlarlo, e di scrivere in esso correttamente, e con ischietto stile, e leggiadro.


IOANNES GASTO Dei Gratia MAGNUS DUX ETRURIAE et c.

CUM nuper Academici, vulgariter nuncupati della Crusca, nostrae Civitatis Florentiae, et pro eis Dominicus Maria Manni Typographus pariter Florentinus Nobis humiliter exposuerint, eos Vocabularium vocum Etruscarum variis, maximisque auctum additamentis, et locupletatum quamprimum eleganter, et summâ cum impensâ typys edituros, et timentes praedicti Academici, et Dominicus Maria Manni ne ex aliorum Typographorum arte aliquid detrimenti eorum Opus accipiat, inde preces Nobis supplices porrexerunt, ut lege ad decennium valitura, sub certae poenae sanctione interdiceremus, ne in ullis nostrarum Ditionum tam veteris, quam novae Civitatibus, vel locis praedictum Vocabularium imprimeretur; Nos animo versantes Auctorum adeo probatorum opera cessura in perenne decus Etruriae nostrae, et laudabilem aequitatem, qua summi Principes novorum Operum Auctoribus, aut Editoribus benignè consulere solent, sequentes, et iustae supradictorum Academicorum, et Dominici Mariae Manni petitioni clementer annuere volentes, universis, et singulis Impressoribus, Typographis, Bibliopolis, et hiuismodi Negociatoribus Ditiones nostras habitantibus, seu frequentantibus, et ipsorum cuilibet mandamus, et prohibemus, ne Vocabularium praedictum sic auctum, et locupletatum, etiam sub Additionum, vel Compendii, aliove quocumque praetextu a supradictis Academicis editum, seu edendum, sine speciali ipsorum, seu Dominici Mariae Manni consensu, et voluntate in omnibus, et quibuscumque Dominiis nostris, etiam in Civitate Pistorii, eiusque Comitatu, et Montaneis, et in quocumque alio loco Iurisdictioni nostrae subiecto, licet de eo specifica, et expressa mentio fieri deberet, imprimere, aut imprimi facere, nec alibi impressum venale habere, et tenere audeat per annos decem, enumerandos ab infrascriptâ die, sub poenâ scutorum quinquaginta de libris septem pro scuto pro quolibet Opere, aut aliquâ ipsius parte, et amissionis eorundem, cuius poenae quarta pars Fisco nostro, et Magnae nostrae Ducali Camerae, altera Magistratui, seu Iudici condemnanti, seu exigenti, altera Privilegiatis supradictis, altera vero pars accusatori, seu denuntiatori publico, seu secreto applicentur, et acquiratur, contrariis quibuscumque non obstantibus.
In quorum fidem praesens Diploma per infrascriptum Secretarium Senatorem, Auditoremque nostrum expediri, et plumbei Sigilli appensione muniri iussimus, et nostrâ etiam manu firmavimus.
Datum Florentiae in nostro maiori Palatio anno salutiferae Incarnationis millesimo septingentesimo vigesimo octavo, die decimâ mensis Decembris, Magni vero nostri Ducatûs Anno VI.
IO GASTO
Philippus Bonarota.
I Privilegj, che seguono, si pongono di mano in mano secondo l'ordine delle date.

BENEDICTUS P P. XIII.
Ad futuram rei memoriam.
Cum sicut dilectus filius Dominicus Maria Manni Librorum Impressor in Civitate Florentinâ Nobis nuper exponi fecit, ipse Vocabularium vocum Etruscarum ab Academicis della Crusca vulgariter nuncupatum multorum annorum studio, variisque additamentis auctum, et locupletatum, typis in Civitate Florentinâ praefatâ, ad publicam literatorum, et praesertim studiosorum Etruscae Linguae apud omnes Academias in tantâ existimatione habitae utilitatem noviter mandare intendat; vereatur autem, ne, postquam in lucem prodierit, alii, qui ex alieno labore lucrum quaerunt, illud iterum imprimant, seu imprimi faciant in ipsius Dominici Mariae praeiudicium, et detrimentum; Nos eius indemnitati, ne ex eius impressione huiusmodi nimium dispendium patiatur, providere volentes, eumque a quibusvis excommunicationis, suspensionis, et interdicti, aliisque Ecclesiasticis sententiis, censuris, et poenis a iure, vel ab homine quavis occasione, vel causâ latis, si quibus quomodolibet innodatus existit, ad effectum praesentium dumtaxat consequendum, harum serie absolventes, et absolutum fore censentes, Supplicationibus eius nomine Nobis super hoc humiliter porrectis inclinati, eidem Dominico Mariae, ut durante decennio proximo a primaeva dicti Vocabularii, sicut praemittitur, aucti, et locupletati [dummodo tamen prius ab Ordinario loci, et haereticae pravitatis Inquisitore approbatum fuerit] impressione computando, nemo tam in almâ Urbe nostrâ, quam in reliquo Statu nostro Ecclesiastico mediate, vel immediate Nobis subiecto, Vocabularium praefatum sic auctum, et locupletatum, etiam sub Additionum, vel Compendii, aliove quocumque praetextu, sine speciali dicti Dominici Mariae, aut ab eo causam habentium licentiâ imprimere, vel ab alio, aut aliis impressum vendere, seu venale habere, au proponere possit, et valeat Apostolicâ auctoritate tenore praesentium concedimus, et indulgemus. Inhibentes propterea omnibus, et singulis utriusque sexûs Christifidelibus, praesertim librorum Impressoribus, et Bibliopolis sub quingentorum ducatorum auri de Camerâ, et amissionis librorum, et typorum omnium, pro una Camerae Nostrae Apostolicae, et pro alterâ eidem Dominico Mariae, ac pro reliquâ tertiis partibus accusatori, et Iudici exequenti irremissibiliter applicandorum, et eo ipso absque ullâ declaratione incurrendis poenis, ne dicto decennio durante, memoratum Vocabularium, ut praefertur, auctum, et locupletatum, aut aliquam eius partem, etiam sub Additionum, vel Compendii, aliove quolibet praetextu, tam in Urbe, quam in reliquo Statu Ecclesiastico praedictis, sine huiusmodi licentiâ imprimere, aut ab aliis impressum vendere, seu venale habere, vel proponere quoquo modo audeant, seu praesumant. Mandantes proinde dilectis filiis nostris, et Apostolicae Sedis de latere Legatis, sive eorum Vicelegatis, aut Praesidentibus, Gubernatoribus, Praetoribus, et aliiis Iustitiae Ministris, Provinciarum, Civitatum, Terrarum, et locorum Statûs nostri Ecclesiastici praefati, quatenus eidem Dominico Mariae, seu ab eo causam habentibus praedictis in praemissis efficacis defensionis praesidio assistentes, quandocumque ab eo requisiti fuerint, poenas praescriptas contra quoscumque inobedientes irremissibiliter exequantur. Non obstantibus Constitutionib. et Ordinationib. Apostolicis, ac quibusvis etiam iuramento, confirmatione Apostolicâ, vel quavis firmitate aliâ roboratis statutis, et consuetudinibus, privilegiis quoque indultis, et literis Apostolicis in contrarium praemissorum, quomodolibet concessis, confirmatis, et innovatis. Quibus omnibus, et singulis, illorum tenores praesentibus pro plenè, et sufficienter expressis, et ad verbum insertis habentes, illis alias in suo robore permansuris, ad praemissorum effectum hac vice dumtaxat specialiter, et expressè derogamus, caeterisque contrariis quibuscumque. Volumus autem, ut praesentium literarum transumptis, seu exemplis etiam in ipso Opere, seu Libro impressis manu alicuius Notarii publici subscriptis, et Sigillo personae in Ecclesiasticâ dignitate constitutae munitis eadem prorsus fides in iudicio, et extra adhibeatur, quae ipsis praesentibus adhiberetur, si forent exhibitae, vel ostensae. Datum Romae apud Sanctam Mariam Maiorem sub annulo Piscatoris die XX. Augusti MDCCXXVI. Pontificatûs Nostri Anno Tertio.
F. Card. Oliverius.

CAROLUS SEXTUS
Divina favente clementia
ELECTUS ROMANORUM IMPERATOR
SEMPER AUGUSTUS

Necnon Germaniae, Hispaniarum, Indiarum, Hungariae, Bohemiae, Croatiae, et Sclavoniae Rex; Archidux Austriae; Dux Burgundiae, Stiriae, Carinthiae, Carniolae, Silesiae Superioris, et Inferioris, Lusatiae, Mantuae et c. Marchio Moraviae, Alsatiae, Burgoviae; Comes Tirolis, Goritiae, Habspurgi et c.


Hoc Privilegio, de absolutae potestatis nostrae plenitudine, quâ in hoc Mantuae Ducatu publicè fungimur, ex certâ nostrâ scientiâ, et animo benè deliberato, cautum sit, ne quis Librum, cuius titulus est Vocabolario de' Signori Accademici della Crusca, neque in compendium redactum, aut quacumque aliâ formâ, ante decem annos ab hac die computandos imprimat, aut alibi impressum, citrà ipsorum Auctorum, vel Dominici Mariae Manni Typographi Florentini consensum, in dicto Ducatu nostro venalem exponat, aut quolibet alio modo huic Privilegio fraudem inferre audeat, sub poenâ confiscationis Librorum, aliisque arbitrio nostro incurrendis. Datum Mantuae V. Nonas Octobris MDCCXXVI.
Philippus Hassiae Landgravius.
Melchior Ernestus de Risenfelch et c.
Augustinus Rodulphus Primus Cancell. visâ Supplicatione opportunè
expeditâ sub die 28. Septembris 1726. scripsit.







PRIVILEGIO DELLA REPUBBLICA DI LUCCA


A dì 2. Marzo 1727.


Per Parte, e comandamento dell’Illustrissimo Ufizio sopra la Giurisdizione, e in esecuzione del Decreto dell’Eccellentissimo Consiglio de’ 28. Febbraro prossimo passato si comanda
A tutti gli Stampatori della Città, e Stato di Lucca, che non ardiscano, nè presumano stampare, o imprimere, o ristampare, né pure in compendio, o in qualsivoglia altra maniera, per anni dieci prossimi avvenire il nuovo Vocabolario, che è per darsi alla luce dall’Accademia della Crusca, e ciò sotto la pena della perdita delle stampe, che di detto Libro fossero fatte, e di sei mesi di Carcere, e dell’arbitrio ancora del predetto Illustrissimo Ufizio; Ed in fede ec.
Questo Privilegio è stato fatto intimare a tutti i sopradd. Per il Canc. del sudd. Illustrissimo Ufizio sopra la Giurisdizione.




CAROLUS SEXTUS Dei Gratia ROMANORUM IMPERATOR, Hispaniarum, Utriusque Siciliae etc. Rex et Mediolani Dux, et c.


Dominicus Maria Mannius Typographus in Civitate Florentiae Nobis preces dedit sequentes, videlicet:
Potentissime Rex.

Intendit Dominicus Maria Manni Typographus in Civitate Florentiae Humillimus M. V. Servus edere Librum, cui titulus Il Vocabolario degli Accademici della Crusca, pluribus tamen additionibus exornatum, illumque ad publicam Reipublicae litteriariae utilitatem vendifacere; verum ne factis impensis, ac emensis eius laboribus in parandis pluribus exemplaribus deceptus remaneat in eorum venditione ex aviditate aliorum Typographorum, qui eiusdem Libri editionem proprio praelo renovare tentent, tum Venetiis, tum Neapoli, tum Romae, aliisque Ditionibus iam munitus fuit supplicans opportunis inhibitionibus, similemque providentiam reportaturus etiam in hoc Mediolanensi Statu iam porrectae fuere Preces, quas remissas ab Illustriss. Moderatore praeaudit ad M. V. Senatum, coram quo pendent, audito iam Egregio à Secretis Don Carolo Gallarino, et Regio Fisco excitatis. Cumque liqueat ex monumentis huius Excelsi Ordinis in dies per M. V. ex assuetâ eius clementiâ ad consulendum Typographorum indemnitati impertiri solere consimiles privativas facultates, ad eamdem idem supplex confugit, humiliter exorando dignetur suis Litteris Patentibus decernere, neminem posse imprimere, imprimi facere, vel alibi impressum memoratum Librum nuncupatum Il Vocabolario degli Accademici della Crusca, praeter dictam novissimam editionem sub praelo suprascriptis faciendam introducere, aut venales copias habere hinc ad annos decem sub poenâ praeter earum omnium amissionem, etiam pecuniaria M. V. benevisa, quod etc. Quibus in Senatu nostro propositis, matureque una cum antecedentibus perpensis, de ipsiusmet Ordinis Sententiâ decernimus, Neminem huic Dominio nostro subditum posse imprimere, imprimi facere, vel alibi impressum memoratum Librum nuncupatum Il Vocabolario degli Accademici della Crusca, praeter dictam novissimam Editionem sub praelo suprascriptis faciendam introducere in hoc Dominio, aut venales copias habere hinc ad annos decem, sub poenâ, praeter earum omnium amissionem, etiam scutorum quinquaginta pro medietatye Fisco nostro, et pro alterâ meditate suprascriptis applicandorum. In quorum fidem praesentes sigillo nostro munitas fieri, et registrari iussimus. Mediolani XVIII. Martii M.DCC.XXVII.

Registratum in filo Patent.

GALLARINUS

De Luppis.
.




CAROLUS SEXTUS
Divina favente Clementia
ELECTUS ROMANORUM IMPERATOR
SEMPER AUGUSTUS
ET HISPANIARUM REX

Michael Fridericus Sanctae Romanae Ecclesiae Tituli Sanctae Sabinae Presbyter Cardinalis de Comitibus de Althann, Episcopus Bociae, Intimus a Consiliis suae Caesareae, et Catholicae Maiestatis, ac Comprotector Germaniae, et in praesenti Regno Vicerex, Locumtenens, et Capitaneus Generalis.


MAGNIFICIS, Clarissimisque Academicis Florentinis della Crusca nuncupatis gratiam regiam, atque bonam voluntatem: Nuper vestrûm nomine fuit Nobis expositum Vocabolarium Hetruscum proelo committere vos desiderare; vereri autem, ne [quod sepius fieri solet] alii quoque Bibliopolae, atque Typographi idem Opus fraudolenter typis committere audeant, distrahant, atque venundent, idcircò nos supplices orastis, ut Privilegio nostro contra huiusmodi fraudes vobis prospicere dignaremur. Nos itaque benignè pariter, atque aequè Clarissimi Francisci Lisonis suae Cesareae, atque Catholicae Maiestatis a Secretis apud Realem Celsitudinem Hetruriae Ducis petitioni annuere volentes, cum voto Regii Collateralis Consilii apud nos existentis, firmiter inhibemus, ac per praesentes vetamus, atque interdicimus auctoritate nostrâ omnibus, atque singuli Bibliopolis, Typographis, aliisque quibuscumque rem librariam, seu negotiationem in hoc Regno exercentibus, ne quis supra memoratum Librum intra decennium proximum a novae huius editionis die computandum intra Regni huius fines simili, aut quovis alio typo, formâ, sive in compendio, sive alio modo recudere, vel recudendum dare clam, vel palam audeat. Si quis autem secus faciendo interdictum hc nostrum neglexerit, aut violaverit, is non solum eiusmodi Libris, aut Exemplaribus, sed etiam ducatorum mille Aerario, sivè Fisco Regio ex aequo mulctarum se intelligat. Mandantes propterea per praesentes omnibus, atque singularis Officialibus, atque Subditis Regiis maioribus, atque minoribus, quocumque nomine nuncupantis, titulo, officio, auctoritate, potestate, atque iurisdictione fungentibus, ad quos, seu quem praesentes pervenerint, atque fuerint quomodolibet praesentatae, unicuique in sua Iurisdictione, quod vobis, vel aliis legitimis Personis ex vestri parte praestent, atque praestari faciant omne auxilium, consilium, atque favorem necessarium, atque opportunum,
et prout a vobis, vel aliis legitimis Personis fuerint requisiti super consequutione dictae poenae pecuniariae, ac dictorum Operum impressorum in casibus supradictis, vobis, seu legitimae personae pro vestri parte devolutorum, adeò quod de praedictis ad Nos recursum habere vobis necesse non sit. Et si secus factum fuerit, statim incurrant in iram, atque indignationem Regiam, poenamque ducatorum mille. In quorum fidem hoc praesens Privilegium fieri fecimus magno praefatae Caesareae, atque Catholicae Maiestatis sigillo pendenti munitum. Volumus, quod dictum Privilegium, omniaque, atque singula in eo contenta ad unguem, atque inviolabiliter observent, atque exequantur, ac exequi, atque observari faciant iuxta sui seriem, continentiam, atque tenorem, ita atque taliter, quod suum debitum sortiatur effectum, atque contarium non faciant sub poenâ praescriptâ. Datum Neapoli in Regio Palatio die quinta Mensis Iunii millesimo septingentesimo vigesimo octavo 1728.

El Cardenal de Althann.

V. Mazzaccara R.
V. Pisacanus R.
V. Venturas R.
V. Castelli R.


Eminetiss. et Reverendiss. D. Prorex mandavit mihi D. Nicolao Traggiani a Secretis.

Solvit lib. duodecim,
De Sanctis Taxator.

Pro Magnifico Mastellone Didacus Ferrignus Regius Cancellarius.

In Priv. 36. fol. 185. Solvit ducatos duos Asciones.


Die decimasexta Mensis Iunii 1728. Neapoli. Domenico Petruccio Portiero della Real Cancelleria ho notificato tutti li Stampatori, e Librari, quali sono, Gennaro Muzio, Francesco Ricciardo, Baldassarre Saldelli, Felice Visconti, Belardino Troisa, Angelo Voccola, Gio: Palmiero, Costantino Polzino, Antonio Bellincieri, Isabella Cammorata, Giuseppe Pavono, Pietro Prenti, Pietro Pietrosino, Filippo Giordano, Don Niccola Porrino, Michele de Giudecis, Francesco Pirotto, Carmine Pirotto, Bartolomeo Caiso, Michele Abbri, Belardino Gessoro, Giuseppe Ponzelli, Felice Mosca, Domenico Soldano, Niccola Abbato, Antonio d'Oria, Marcello di Lorenzo, Stefano Abbate, Paolo Petrino, Gio: Colcelli, Niccola Rispero, Francesco Forastiere, Filippo Polcelli, Gaetano Alia, Niccola Monaco, Luca Valiero, Novello de Bonis, Paolo Severino, Nino Polzino, Mattia de Camillis, Antonio de Morcellis, Niccola Migliaccio, Tommaso Fari, Carlo Parise, Francesco Altobello, Giovanni Altobello, Pietro Torino, Donato Altobello, Onofrio Pace, Gio: Rosiello, Francesco Antonio Porazzo, Francesco de Lieto, Vincenzio del Cammillo, Raimondo di Gio: ec. E lasciatoli Cartella una per uno ec.

Io Domenico Petruccio Portiero della Real Cancelleria ec.

E di più Domenico de Bonis, e Domenico Rosiello ec. e lasciatogli Cartella.

Io Domenico Petruccio.

ALOYSIUS MOCENICO Dei Gratia DUX VENETIARUM

Universis, et singulis Rappresentantibus, et Ministris nostris, ad quos hae nostrae pervenerint, significamus, hodie in Concilio nostro Rogatorum captam fuisse partem tenoris infrascripti, videlicet: Che atteso quanto rappresentano in loro puntuale, e giurata informazione li Riformatori nostri dello Studio di Padova sopra il divoto Memoriale dello Stampator Fiorentino Domenico Maria Manni, ch’è vicino ad intraprendere la nuova edizione del Libro intitolato Il Vocabolario degli Accademici della Crusca, sia ad esso Manni concesso Privilegio di poter egli solo stampare il Libro predetto, non potendo per anni dieci avvenire essere lo stesso stampato in qualunque Luogo del Dominio Nostro sotto le pene statuite dalle Leggi. Quare mandamus vobis auctoritate supradicti Concilii, ut ita exequi faciatis. Dat. in Nostro Ducali Palatio die XXI. Aprilis Ind. VII. MDCCXXIX.

Zuanne Filip.

1729. 30. Aprile.

Gl’Illustrissimi, ed Eccellentissimi Signori Riformatori dello Studio di Padova, veduto il Decreto dell’Eccellentissimo Senato de’ 21. Aprile 1729. emanato sopra la riverente instanza Manni Fiorentino, e rimesso all’Eccellenze Loro per l’esecuzione, hanno ad esso Manni concesso il Privilegio conferitoli col Decreto stesso, così che in ordine al medesimo possa egli solo stampare il Libro intitolato: Il Vocabolario degli Accademici della Crusca, non potendo per anni dieci avvenire essere lo stesso ristampato in qualunque luogo del Serenissimo Dominio, sotto le pene statuite dalle Leggi, rilasciandosi la presente a chiara notizia di chi si sia.

Gio: Francesco Morosini Cav.)
Andrea Soranzo.) Riformatori dello Studio di Padova.
Pietro Grimani Cav.)

Agostino Gadaldini Segretario



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