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1) Apparato 3° Ed. .
Prefazione
Testo completo

vol.1 pag.4


SERENISSIMO SIGNORE.

SEmpre più ossequiosi ci rappresentiamo alla Real presenza dell’A. V. e le offeriamo per dovuto omaggio nella nuova revisione del nostro vecchio Vocabolario, ed insieme nella presente compilazione del grande agumento al medesimo, gli atti umilissimi della nostra obbligata obbedienza, colla premurosa se non sollecita esecuzione de’ suoi benignissimi comandamenti. E come portiamo ferma credenza che V. A. sia per far degna di clementissimo perdono la lunga tardanza frapposta al compimento di così fatto lavoro, ben richiesta dalla smisurata ampiezza della voluminosa materia, e pur troppo necessaria al nostro attentissimo zelo, di corrispondere, quanto per noi fosse possibile, alla’ntera squisitezza, che ama in tutte le cose, la perfezione del suo genio Reale; Così ci leviamo in alta speranza, che l’A. V. sia per onorare di benignissimo gradimento, se non la fattura dell’Opera, forse troppo

manchevole, ed imperfetta, almeno gli sforzi degli Operanti, certamente ricolmi del buon disio d’adempierne in ciò pienamente le eroiche brame di V. A., tutte rivolte al comodo dell’Universale, e all’avvantaggio de’ Lettori. Onde di quanto nel presente Libro possa incontrarsi, che vaglia a lusingarne la compiacenza, ed a riportarne l’approvazione, di coloro, che sieno per leggerlo, non che a cooperare in pro de loro studj, e promuoverne la lor comodità, di tutto debbono essi saperne grado a V. A., da cui con moltiplicati continui avvertimenti, anzichè vigorosi replicati stimoli, si sparse la buona sementa, di cui sì bel frutto si colse. E ben porta in fronte il presente Vocabolario il Nome glorioso dell’A. V. anzi per ragione di dominio sovrano, che per ossequio d’accomandigia divota: mentre ad altro oggetto non vien diretto, ad altro fine non tende, che a far lume agli studiosi della volgar favella, e recar lustro al bello stile, che a’ buoni tempi si praticò in questa sua Regia Città di Firenze, donde presero le lor leggiadre maniere gli Scrittori di primo grido, de’ quali tutti ella fu madre, o nudrice. Si tratta pertanto per entro a questo Libro d’uno de’ pregj maggiori, di che gloriar si possa il Dominio Reale di V. A.: i cui studj coltivati dalla sua mente sublime, fioriscono a’ luminosi riflessi della sua generosa munificenza; che non ben paga del potentissimo patrocinio, e delle liberalissime assistenze, onde tutto giorno ne onora e l’Accademia, e gli Accademici, sì ne ha sublimati all’altissimo onore di darne per Protettore, per guida, per Maestro il Serenissimo Principe Giovan Gastone suo secondo Figliuolo: che anche sul bel mattino de’ più verdi anni colla notizia delle scienze più nobili, colla perizia degli idiomi più celebri, diffonde tanto di luce, quanto altri spander si possa di chiarezza nel più pieno mezzo giorno dell’età più matura; Ed insieme col gentilissimo

tratto, e colle profonde cognizioni spira odore, produce frutto ovunque si volge: come egli avviene d’alcune piante nobilissime, che nello stesso tempo e se ne vagheggiano i fiori più gentili, e se ne colgono le frutta più saporose; e quali alcune semenze che pullulando in alta vermena non che rendano più copiosa la raccolta, ma sì insieme ne fanno più fecondo il terreno, al suo esemplo, a’ suoi stimoli leva il nostro basso ingegno a’ voli più sublimi delle più alte specolazioni, Ove alzato per se non fora mai. In rendimento di grazie umilissime, per sì segnalati favori, rassegnamo umilmente il presente Vocabolario, e noi stessi, sotto l’altissima protezione di V. A. a cui profondamente ci inchiniamo.
Di V. A. S.

Umilissimi Servi, e Suddità
Gli Accademici della Crusca
Alessandro Segni V Segret.




A’ LETTORI.

QUello animo, e quella mente, che ebbero i nostri Maggiori sin dal principio della compilazione del presente Vocabolario, quella stessa abbiamo avuto noi nell’istesso lavoro, e nel presente accrescimento del medesimo; e come essi altro fine non ebbero, che di recar lustro alla nostra volgar lingua, e di portar giovamento agli studiosi di quella: così appunto altro oggetto non è stato il nostro, che di manifestare sempre più la leggiadría, la proprietà, la ricchezza del nostro idioma, ed insieme aggiugnere agevolezza, comodo, e facilità a tutti coloro, che hanno vaghezza d’arrivarne alla più perfetta cognizione, di conseguirne l’uso più puro, e di giugnerne all’intelligenza più sicura. Assai di baldanza si è pigliata da noi nell’imprender questa nuova fatica, dal vedere, che non senza gradimento fu ricevuto a principio questo Vocabolario, e che non senza desiderio se ne attendevano successivamente le nuove giunte. Grande ne è stata la macchina, e per conseguenza lungo il tempo, che vi si è consumato d’attorno: prolungato anche dall’interrompimento del lavoro per le pubbliche occorrenze, e per le private bisogne, in che è occorso più volte divertirsi, quei nostri Accademici destinati a tale impresa. Ecco pur finalmente ridotta l’Opera a quel segno, che per noi si è potuto il migliore. Non per tanto giudichiamo d’esserne giunti all’intero compimento, ed alla compiuta perfezione, che forse da molti, e da noi stessi si desidererebbe; Pur l’ampiezza della materia, che abbraccia per così dire, non solamente tutte le cose, e tutte le azioni: ma eziandío ne dinota le qualità, e ne spiega le circostanze, potrà farci degni di amorevol compatimento, se non meritevoli di scusa benigna. L’istesso non meno avveduto, che benigno Lettore in leggendone questo nostro Libro resterà persuaso delle difficoltà , ed imbarazzi, incontrati nell’operare: conciossia che talora i multiplici sentimenti, e significati d’una sola voce, sieno sovente fra loro con divario così preciso, e con sì sottil differenza, che non che colori sì fini, o pennelli tanto minuti si trovino per delinearne la varietà: ma pure all’occhio anche più acuto, e di Lince, ci voglia un microscopio de’ più perfetti, per distinguerne la fattezze, per ravvisarne la simmetría. Che anche ne’ corpi che al di fuori appariscon maggiori, nel por la mano a farne

più esatta notomía, si incontran fibre sì tenui, vene sì capillari, che ne sfuggono la veduta, non meno che il tratto. Onde non è stato possibile, ed il confessiam di leggieri, il soddisfar pienamente all’intenzione dell’Accademia, ed all’espettativa del Mondo; Pur ci reca conforto il vedere, che simile Opera non ha forse per ancora veruna delle lingue viventi, come ne pur l’ebbero, per quanto sia passato alla notizia de’ posteri, alcuna delle già morte, mentre che vissero. E noi stessi, quando che sia, speriamo di dar un giorno ed agumento più grande, e finimento più perfetto a questo Libro: non perdendone mai di vista il lavoro, che come particolare applicazione della nostra Accademia, ci è sempre non meno fra mano, che ci stia di continovo sul cuore. Ne gradisca intanto il Lettore se non l’intera perfezione dell’Opera, almeno il buon desiderio degli Operanti; E si compiaccia prender notizia, da ciò che se gli soggiugnerà appresso, di molte particolarità necessarie all’intelligenza di tutto il Libro, quali l’istesse, che posero in fronte delle passate edizioni i nostri Maggiori.
Base, e fondamento del presente Vocabolario non meno, che prima fontana della nostra volgar lingua sono stati quegli scrittori, che di comune consentimento, da tutti coloro, che di buon senno ne hanno trattato, sono stimati per più corretti, e migliori: quali tutti ebbero questa nostra Patria o dalla natura per madre, o dall’elezion per nudríce; Conciosia che le voci tutte dalla pura sorgente del volgar Fiorentino dirivate, in passando per le miniere delle scritture più regolate vi attraggan virtute, e vi si condizionino a perfezione. Il Cardinal Bembo, i Deputati alla correzione del Boccaccio dell’Anno 1573. il Cavaliere Lionardo Salviati, L’autor della Giunta, Benedetto Buommattei, Benedetto Varchi, il Cinonio Accademico Filergita, Ferrante Longobardi, o chiunque sotto tali nomi s’ascose, e moltissimi altri, che hanno preso ad esaminarne simile materia, incominciandosi da’ tempi di Dante, o poco prima, e distendendosi poco dopo la morte del Boccaccio, ristrinsero questo spazio dal milletrencento in circa, fino al millequattrocento, o in quel torno: chiamando questo corso di tempo, in ordine alla purità, e bellezza del volgare nostro, il buon secolo; nel quale veramente nella nostra Patria e si parlò, e si scrisse con intiera schiettezza, e senza quella varietà, e barbárie, che indusse poi il rimescolamento cogli altri dialetti, e lo studio posto nella lingua Latina, che indusse per cotal guisa trascuranza della materna; come per tanto i nostri maggiori si studiarono a tutto potere di trarre da sì fatta cava la materia più propria alla fabbrica del loro Vocabolario,

così noi medesimi sull’orme camminando impresse da que’ nostri buon vecchj, non che abbiamo procacciato di scorrer l’opere degli autori più classici, per coglierne quelle voci, che tra per la fretta, o per la moltitudine scapparono loro in sì gran fascio di mano: ma eziandío nuovi autori, e nuovi libri del medesimo miglior secolo abbiamo spogliati, e fattone tesoro di molte voci, e di assaissime maniere, non per avanti state osservate, e notate; in che non minor grado speriamo di riportarne dagli studiosi, di quanto sortisse a quei medesimi nostri maggiori; a’ quali pur tutta si debbe la lode: non per quello solamente, che essi fecero: ma per quanto eziandío egli insegnarono a noi di poter fare, e che la loro mercede abbiam fatto; conciossiachè non avendo essi potuto pienamente incarnare la figura da loro disegnata, abbiamo tentato noi di darle quella pienezza, e quel rilievo, che da essi non si potè a principio: ma tutto si è fatto da noi senza uscir de’ contorni, e senza trapassar le linee maestre segnate da loro.
Col loro esempio, e secondo il comun desiderio, oltre alle voci ricavate dagli Autori del buon tempo, e dettate collo stile, ch’a buon tempi fioría, compilate se ne sono nel presente Vocabolario moltissime di quelle dell’uso presente del nostro Popolo, allegandone l’autorità d’alcuno Autor moderno, cioè a dire, che ha scritto dopo la terminazione dell’accennato miglior Secolo. Tra’ quali Autori si considerano alcuni per più bassi di tempo, ma non già forse per inferiori di stima: conciossiachè per andar di pari cogli Antichi, altro non manchi lor, che l’età. Ne per tanto crediam noi d’ingannar punto il Lettore, quando egli fosse sì scrupoloso, e sì schivo, che negasse d’ammetter nelle sue Scritture, le voci non autenticate dall’impronta del Boccacci, del Petrarca, dell’Alighieri, e degli altri di così fatta schiera: avvegnachè dell’altre da noi esposte nel Vocabolario ne si mentisca il conio, ne adulterata ne sia la materia, ne menomata la forma, onde condannate esser possano, o per mancanti, o per false; mentre dalla qualità dell’Autore, che se ne adduce in esemplo, può il giudicioso Lettore senza farne saggio, e senza adoprarne bilancia, esaminarne tostamente la lega, comprenderne di subito il peso; ne l’averle noi inserite nel presente Vocabolario, pretendiamo, che in veruna guisa accresca lor di bontà, o loro scemi di pregio Quale appunto non varia il valore d’alcuna più bassa moneta, per trovarsi depositata in un pubblico banco.
Si sono raccolte nel presente Vocabolario, tutte le Voci, Locuzioni, e Maniere, che incontrate si sono negli Scrittori di primo grido, e più comuni, per essere l’Opere loro pubbliche per via delle

Stampe, ne si è mancato di allegarne la loro autorità nell’esemplo; dagli altri men conosciuti, benchè di non dissimil finezza, quelle autorità solamente si sono prese, che supplissero alla mancanza de’ primi, come quegli, che non ebbero comodità di dire ogni cosa, o sì vero per confermazione de’ medesimi, e per chiarezza della materia.
Alcuna voce che non è rimasa così comune nella bocca del nostro Popolo, ne così praticata dalla penna degli Scrittori, l’abbiamo contrassegnata, con notarla per Voce Antica: e qui solamente esplicandola, non perchè i Moderni, in scrivendo l’adoperino, ma perchè in leggendo gli Antichi gli intendano; ne meno con tal distinzione si è preteso interdirne l’uso agli accorti Scrittori, bene avvertiti dal Maestro della Romana Eloquenza, che tutte le parole a’ loro luoghi ottimamente si adoperano, e tornan bene; come sovente egli avviene d’alcuna pittura, che fuori del suo lume non rilieva, e tale ora si mostra sproporzionata, che poi collocata al suo luogo, da altrui negli occhi, e nella aggiustata veduta non che si mostri, e ben proporzionata, e ben condotta, ma spicca a maraviglia, e campeggia.
Diversamente usò il Poeta maggiore, allora che delle più alte materie prese altamente a parlare, e delle divine cose si mise divinamente a cantare, che quando a diporto della sua non men saggia, che vaga Beatríce, o per isfogo del suo nobile amore, gentili Canzoni compose, e di tal leggiadría vestille, che per poco alla gentilezza del Petrarca par che s’accostino, benchè dettate più d’un mezzo Secolo avanti.
Altre maniere, altre voci s’addicono alla sdegnosa Belcolore, venuta in iscrezio col Ser di Varlungo. Altre Frasi, altri Vocaboli adopera il Marchese di Saluzzo, allora che con quella forte riprova, egli vuole altrui dimostrare, ed a se confermare il valore della costante ugualmente, e bella Marchesana sua moglie. Con diversi Termini, chiede di sul tavolato della torre l’abbrustolita Vedova mercede all’offeso Scolare. Con differenti parole porta rimproveri nel Tempio il nobilissimo Tito agli adirati parenti della sua cara Sofronia. Lo stesso Boccacci, non in persona d’altri, ma per se proprio scrivendo, con altre forme, reca conforto nella famosa pistola a quel buon Gentiluomo esiliato: e con diverso stile, scrive poi d’Avignone de’ pubblici negozzj alla Repubblica Fiorentina.
Il buon giudicio dello Scrittore, può solamente sceglier le voci, adattar le locuzioni, accomodar le maniere, all’occasioni, alle materie, a’ tempi, alle persone; ne vi ha regola sì prefissa, che possa servir di istruzione alle Scritture. Onde le distinzioni da noi date talora di Bassezza, d’Antichità, o simile, sottoposte sono sovente alla varietà

ed all’eccezione; mentre con alto, o fine ricamo, si adornano talora le materie più vili, onde servir possano all’uso de’ Personaggi più grandi. Nel nostro Libro per tanto, vi si espongon di pari e le Voci più nobili, e le men degne: come si distendono sulle fiere ugualmente i drappi a oro, per fregiarsene le Dame di più alta qualità, e le tele più grossolane, per ricoprirsene le Donne della più bassa condizione.
Molti Scrittori abbiam noi, che benchè degnissimi, e dottissimi, come non interamente nostrali, hanno talora usate parole, che anzi straniere, che Fiorentine appariscono; onde giudicando noi, che non che aggiugner finezza, potessero portar rozzezza alla lingua, le abbiamo tralasciate del tutto, prendendone quelle solamente, che a noi son parute e più significanti, e più naturali; non rechi per ciò maraviglia, se talora s’incontra nell’Opere addotte da noi, alcun vocabolo non esposto nel nostro Vocabolario, perchè forse non si è giudicato interamente nostrale. Non tanto per elezione, quanto per isbaglio, in tanta ampiezza di Autori citati, ne saran forse rimase molte altre voci, che averan luogo, quando che sia in nuova, e più accurata impressione, che si va da noi meditando.
Come pure nel vedersi da noi citata alcun’Opera di qualche Autor moderno, non per tanto si può prendere argomento di quella Scrittura: conciossia che ve ne sieno tra esse Opere alcune, e poco regolate, e meno leggiadre; ma che bene a nostro uopo hanno vocaboli proprissimi, e maniere significanti: che malagevolmente rintracciar si sarebber potute d’altronde, e che troppo gran fallo sarebbe stato l’impoverirne la nostra lingua; Ne per non essere incassati entro ai castoni della più fine dicitura, e più colta, pérdono della proprietà loro, e della bellezza i vocaboli: come non iscadon di pregio i diamanti, anche quando non legati sono nell’oro, ma circondati d’alcun più vile metallo. Allo’ncontro non dee condannarsi ne Scrittura, ne Opera, perchè da noi tra le moderne citata non sia: che molte pur se ne leggono alle allegate per avventura non inferiori; ma come i nostri Vecchi non ebber’agio di allargarsi nelle prime Edizioni, quanto abbiam fatto noi di presente: così resta luogo a valersi di simiglianti Scritture, nella nuova futura impressione.
Nel riportar gli Autori non si è osservato di metter sempre nel primo luogo l’esemplo dello Scrittore, o più autorevole, o più nobile: ma sovente si è collocato per primo, il più acconcio alla dichiarazion della voce. Questo bene si è religiosamente osservato di allegar prima gli Autori antichi, che gli Scrittori moderni: replicando sempre il detto altre volte, che questi secondi solamente da noi si adducono in difetto, o confermazione de’ primi. Ne si è parimente

badato, se davanti i Prosatori, o i Poeti si adducano, ne pur si è detto se propria sia della prosa, o del verso la Voce, o Maniera: lasciandone al buon giudicio de’ Lettori la cognizione, e rimettendone alla maestría di chi scrive la distinzione; ben sapendosi, esser tal materia soggetta al savio intendimento degli scrittori, non alle dubbiose regole de’ Vocabolarj.
De’ Libri stampati correttamente, si citano gli esempli insieme co’ loro Libri, Capitoli, Numeri, e Carte, o altre simiglianti notizie; in che ci siamo presentemente affaticati assai più, che non ebber agio di fare i nostri Maggiori, e di tutto si darà più precisa contezza nella Tavola delle abbreviature. De’ Manuscritti si è stimato bastanza esprimere l’Autore, il Titolo del Libro, od alcun altro contrassegno: giacchè vana sarebbe stata la fatica, e soperchia, essendo quei testi non esposti agli occhi de’ pubblici Lettori, ma ristretti nelle mani de’ privati Padroni, e non rispondendo per lo più la qualità delle copie alla numerazion degli originali.
Ne’ Libri volgarizzati, per la poca intelligenza in quei tempi del Latino idioma, sono molti, e diversi errori: non tanto per essersi lasciato il Volgarizzatore tirare a molte Voci, e Locuzioni di quella lingua: quanto per essersi discostato non poche volte dal sentimento più vero del Latino Scrittore; onde non è da far capitale di lor sentenze: ma solo averne stima nell’opera della Lingua, quando hanno puramente parlato in questa favella. Allora poi, che egli hanno fallito nel prendere il vero sentimento dell’Autor Latino, abbiamo nondimeno raccolti, e dichiarati i lor vocaboli, secondo che e’ vagliono, e non secondo, che doverebbero intendersi, per dichiarazione dell’Autore volgarizzato: non parendoci, che i manifesti errori degli altri, abbiano da alterare le vere regole, ed il buono uso del nostro idioma. Per tal rispetto spesse volte dopo la vera dichiarazione di alcuna di queste Voci, abbiamo soggiunto per avvertirlo, Qui vale, Qui significa, Cioè, ec.
Delle Lettere, ovvero Elementi di questa lingua, non si è fatto discorso particolare: se non per quanto necessaria cosa si è stimata accennarne alcuna regola nel pronunziarli all’usanza nostra; E come che i suoni della nostra pronunzia sieno di maggior numero assai, che i caratteri, lunga cosa stata sarebbe, e noiosa il trattarne, e fuori affatto dall’intenzione del presente Vocabolario: Ben ne può sodisfare abbondantemente alla curiosità del Lettore, quanto ne è stato scritto da molti valentuomini, e spezialmente dal Cavalier Lionardo Salviati, da Giorgio Bartoli, e da Benedetto Buommattei.


Per la vicinanza, o come altri disse, per l’affinità, che hanno in certe occasioni le lettere del nostro Alfabeto, nel suono fra loro, vi sono molte Voci diversificate, col semplice scambiamento d’uno di cotali caratteri, come Sovra, Sopra: Coltura, Cultura, ec. si troveranno per ciò da noi esposte sovente tutte e due insieme, con trarsi però fuora l’altra al luogo suo dell’Alfabeto, ed avvertirsi quivi il Lettore dove ne debba ricorrere a trovarne la spiegazione, e gli esempli. Le voci accorciate, od abbreviate per sincope, nella stessa guisa saranno accennate al posto loro dell’Alfabeto, con rimettersi il Lettore al luogo del primitivo, per averne la notizia.
Segna il nostro Alfabeto talora, collo stesso carattere diversi suoni, onde moltissime Voci vi sono, simili nella scrittura, ma differenti nella pronunzia, e diverse poi nel significato: onde per distinguerle, abbiamo accennato la varietà del pronunziarle, dicendo, se si profferisca con E larga, con O stretto, con S sottile, con Z aspro, ec. a oggetto di levare ogni equivoco al Lettore straniero, che ingannato dalla forma dello scritto, potrebbe di leggieri sbagliare nella materia del significato.
I nomi proprj delle Provincie, Città, Fiumi, e simili, come ancora de’ loro derivati, si sono interamente tralasciati; ne pur i termini propj, e minuti di tutte l’Arti, e di tutte le Scienze: ne meno i nomi de’ loro Strumenti, hanno avuto luogo nel presente Vocabolario; Come che non se ne trovino per la più parte gli esempli nelle buone Scrittture, e come che essi formassero di per loro un’ampio , Volume; ma non se ne è da noi trascurata la materia, anzi tra’ nostri studj, ne abbiamo e notati, e dichiarati moltissimi, per farne un Nomenclatore a parte: non senza speranza, che anche questa nuova nostra applicazione, sia per incontrare il gusto de’ Lettori, e per riportar gradimento dagli studiosi della nostra favella.
Que’ termini poi, che delle materie più nobili, più frequenti sono nell’uso, o de’ quali dagli Autori ce n’è stato somministrato l’esemplo, collocati si sono, e dichiarati a’ lor luoghi.
Qualunque Voce in primo luogo viene da noi difinita nella forma più propria, e più breve, per quanto ci sia stato possibile, pur che se ne abbracci la descrizione, e la dichiarazione; ci è convenuto perciò uscire talora di quella stretta, e per così dire, filosofica forma, che stata sarebbe per avventura più acconcia a perfettamente trattare della materia, e non, come è il nostro oggetto, a semplicemente spiegarne la voce. Quando alcuno esemplo degli Autori ci ha somministrata la definizione, ce ne siamo di buona voglia serviti, allegandone l’esempio

nel primo luogo, ed aggiugnendovene altri eziandio, che servir ne possano di difinizione, quando venuti ci sono alla mano; che se alcuna volta senza altra difinizione si è posto nel bel principio alcun luogo di Dante, la dichiarazione sarà subito soggiunta nell’esempio che succede, tratto da alcuni de’ molti Comentatori di quel divinissimo Poeta.
Nella presente impressione ci siamo allargati assai più che nelle precedenti, nel mettere al rincontro delle Toscane le voci Greche: come che molte di quelle, dependano da queste, e che sovente ne servano alla dichiarazione, ed alla analogía.
Le voci, Locuzioni, e Maniere Latine, è stata nostra intenzione di porle a tutte le parole nostrali, ed a tutti i modi di dire di questa Lingua; che se talora se ne troveranno alcune senza essrvi notata la voce Latina, sappiasi essere derivato, o dal non essere sovvenuta a un tratto la corrispondenza del Latino, o dall’essersi già posto il Vocabolo, o Frase Latina alle altre voci addotte per sinonime: per entro alle quali si troveran sempre le voci Latine: che quando non si sono avute in pronto degli Scrittori di prima classe, si sono prese anche dagli altri più bassi, ed eziandío da’ più moderni, cioè dopo la caduta della Lingua Latina. Pure in simiglianti casi, o se ne è nominato espressamente l’Autor Latino, o se ne è contrassegnata la voce colla stelletta. Viepiù che altrove è seguito ciò nelle parole attenenti a Religione, dove ci siamo serviti ciecamente delle Latine degli Autori Sacri, e de’ termini con che comumemente si spiegano tali materie, spesso ordinati anzi alla maniera Latina, che dettate veramente in Latino.
Le regole, e i Precetti della Grammatica, sono materia separata dall’intenzion del Vocabolario, salvo in certe notizie così annesse alla natura delle voci, che senza averne spezialmente discorso, non si sarebbe forse soddisfatto alle convenienze della presente Opera; pure in generale ce ne siamo rimessi, e ce ne rimettiamo a quegli Autori più stimati, che hanno discorso in simil proposito; a’ quali tutti Gramatici, non che a i nominati altra volta, ma ad altri assai eziandío, molto è tenuta la nostra Lingua; e noi grande aiuto ne abbiam tratto per questo lavoro, non che da’ paesani, ma dagli stranieri ancora; Pure al Cinonio, nella seconda parte delle sue accuratissime Osservazioni principalmente ci confessiamo obbligati, come a colui, che più acconciamente alla nostra Opera, e con ordine più rispondente al nostro Vocabolario, si vede avere organizzato il suddetto suo Libro; e non che spesso ne abbiamo col suo autorevole testimonio, autenticati i nostri detti, ma talora a lui

medesimo, come giudice competente, ne abbiam rimessa tutta la causa.
Sempre che le Voci si sono trovate capaci di ridurne i loro significati ad un solo, che come genere ne abbracci poi tutte le spezie più particolari, ne abbiam data prima tal dichiarazion generale: ma quando una parola si è trovata aver molti significati differenti notabilmente, gli abbiam distinti anche con differente dichiarazione. Allora che la varietà è poca, e pur ricerca qualche distinzione, per brevità maggiore, e per chiarezza migliore, e per non si poter comprendere sotto regola generale, l’abbiam dichiarata colla particella Cioè, posta appiè dell’esemplo, dove è la voce, come nella voce Cura, ec. Del medesimo Cioè ci siamo serviti eziandío sotto quegli esempli, ne’ quali per avere la Voce significazion poco usata, ha bisogno di maggiore appalesamento, Quale nella Voce Cura, Dottrinale, ec. Talora, quando i significati tra di loro poco divariano, sono immediatamente l’un dopo l’altro, nella prima dichiarazione, lasciando all’avviso del Lettore l’applicazione a’ loro esempli, come nella Voce Gente, Gentile, ec. Dove l’Autor dell’esemplo si è alcuna fiata allontanato dal proprio significato della parola, il che nelle traduzioni è più che altrove accaduto, abbiam dichiarata la Voce nella sua propria, e vera significanza; ma per dichiarazione di quell’Autore si è appresso soggiunto Qui vale, o altro simile contrassegno, come alla Voce Abrostine, Uso, ec.
I sinonimi, che abbiamo usati per dichiarare, ed illustrare un vocabolo, gli abbiamo scelti i più somiglianti, e di più vicino significato; ma non intendiamo già, che tutti vaglian sempre lo stesso, ne che si debban pigliare per lo medesimo, o usar nello stesso modo, ne colla medesima costruzione di aggiunti di Verbi, di Nomi, o di Proposizioni.
Camminando coll’ordine dovuto, nel primo luogo di ciascuna Voce si è collocato il senso più proprio, dipoi il figurato, o men proprio, per metafora, o per similitudine, ec. Ma quando anzi che nella sola parola consiste la metafora nel concetto intero, si è allora esposta la Voce nel proprio significato.
I nomi masculini, e femminini si sono sempre separati, e tratti fuori di per se: salvo quegli, che differenti sono solamente nella desinenza dell’A, e dell’O: quali si sono considerati del tutto pe’ medesimi, e si sono collocati sotto la medesima Voce, trattone fuori il masculino.
Addiettivo, e Sustantivo, tanto solamente si è detto nell’intavolarne alcuna Voce, quanto ci è paruto necessario o per recarne agevolezza o per darne distinzione, o per fuggirne equivoco.

Per proprietà di lingua, giunto l’articolo avanti agli infiniti de’ nostri verbi, prendono essi significanza di nomi, e forza di sustantivi; che basti averne dato qui questo cenno, non si essendo a maggior brevità tratti fuori come voci distinte, ma lasciatigli star co’ lor verbi: toltone però quegli, di che abbiamo trovato esempli nel numero del più.
Tutti i Verbi sono tirati fuora coll’infinito alla maniera attiva, colla terminazione in RE. Quegli, che o per sincope, o per altra cagione si dicono nell’infinito in diverse maniere, si sono parimente esposti in tutti e due i modi. Quegli altresì, che difettivi in alcune lor voci appresso di noi ne appariscono, si sono contrassegnati, e distinti, e si è procurato colla moltitudine degli esempli avvertirne i Lettori di ogni loro circostanza, e de’ modi, onde sovente si suppliscon l’un l’altro. Il sentimento attivo, e passivo si è posto mescolatamente; ma passando a neutro assoluto, o a neutro passivo, si è sempre fatto segno di cotal distinzione. Per neutri, di significazione neutrale, intendiamo quei verbi, che dopo di loro non hanno il quarto caso, come paziente; e quando si è detto neutro passivo, s’inteda, che simil verbo nel descritto significato necessariamente si costruisce nel numero del meno colle particelle MI, TI, SI, e con quell’altre CI, VI, SI, nel numero del più; come per esemplo il Verbo Adirare nel suo più comune significato non può usarsi se non con una di tali particelle allato, o poco lontana, dicendosi Adirarsi, Io mi adiro, Tu ti adiri, Tu ti vuoi adirare, Quegli si adirerà, Noi non dobbiamo adirarci, Voi vi adirate, Quegli adirerannosi, o si adireranno, e così negli altri luoghi di detto Verbo, e de’ suoi somiglianti, come Avvedersi, Accorgersi, Vergognarsi, Peritarsi, ec. Se poi o per vezzo dello Scrittore, o per natura della Voce, anzi che espresse, vi restano sottintese le predette particelle, ci siamo ingegnati di farne il Leggitore avvisato. Di alcuni verbi irregolari, dopo che sono stati tratti fuori nel loro infinito, non si son dette immediatamente tutte le variazioni de’ tempi, e de’ modi loro, ma si è proccurato per quanto è stato possibile, che vi sieno tanti esempli, che tutte quante le manifestino.
Que’ Participj, che secondo ne dimostra la loro denominazione, del nome partecipano, e del verbo, si sono collocati sotto questo: quando è paruto, che più dimostrino la forza dell’azione, che la sostanza della cosa; come egli avviene sovente allora che congiunti sono, col Verbo Essere, e coll’altro Avere; là dove per lo contrario, quando alcuna circostanza ne accennano della cosa, si sono tratti fuori come addiettivi, senza altra dichiarazione, mostrando solo

la derivazione dal lor verbo, del quale ritengono e l’espressiva, e la significanza. Tal’ordine si è tralasciato, quando a maggior notizia del Lettore, per mostrar la formazion de’ preteriti ne’ Verbi, ci siamo persuasi tornar più acconcio, l’addurne quivi alcun’esempio.
Si compongono nella nostra volgar favella molti Avverbj, e varie Proposizioni di più Voci insieme accoppiate, come: A modo, A martello, A distesa, e simili; tali si sono tratte fuori per lo più a’ loro luoghi dell’alfabeto, ne si è mancato darne sovente cenno alla Voce principale. Questo si è da sapere, che tutto si è regolato, secondo la supposta maggior facilità del Lettore, e secondo l’istituto più propio dell’Opera. Molte di tali Voci si usa scriverle variamente, cioè ridotte in una sola parola, o pure sciolte in più Voci: di che se ne è dato a’ suoi luoghi avviso al Lettore le più volte, e ne’ casi creduti, più necessarj, restandone appresso agli Scrittori della Gramatica, per chi ne avesse talento e le ragioni, ed i trattati.
Non che delle propie locuzioni, e de’ detti proverbiali, di che la lingua nostra è molto abbondante: ma pure eziandío de’ Proverbj, così nelle cose gravi, come nelle burlesche, abbiam raccolta quella maggior parte, che per noi si è potuto, dandone la notizia sotto il verbo, od altra voce principale, che più vi si adoperi; e talora in amendue i luoghi se ne è trattato: tanto che basti almeno a dichiarazione: non essendo nostro intendimento il dar contezza delle loro derivazioni, ed origini. Pure a maggior comodità del Lettore, si è citato sovente il Flos Italicæ Linguæ, del Monosini, e la Raccolta de’ Proverbj Fiorentini di M. Benedetto Varchi, acciò chi ne avesse desío, possa quindi trarne più esatta contezza.
Anche de’ Nomi, e de’ Verbi, e di tutte l’altre Voci, non ci siamo pigliati la briga di darne l’etimología, e l’origine, avendo giudicato esser tale impresa fuori affatto dell’intenzione della presente Opera: onde ne rimane il pensiero ad alcuno de’ nostri Accademici, che intorno a ciò ha fatto fatiche particolari, per condurre a buon termine un pieno Etimologico delle nostre Voci, e Maniere.
Quelle parole pure Latine, che i nostri Autori hanno talora usate nelle loro Scritture, ma che non si veggono praticate comunemente nella bocca del Popolo, sono state da noi per chiara informazione de’ Lettori, distinte con dirsi Voce Latina, come è seguito alla voce Cloaca, ec.

Natura della nostra lingua, è di sfuggire il concorso delle consonanti, e per conseguenza la durezza, che vi si incontra nel profferirle; perciò quando alle voci comincianti da S, seguita da altra consonante, precede una parola terminata in lettera non vocale, a cotal voce principiante da S, s’aggiugne avanti la lettera I: delle quali voci, si doverà sempre cercare alla lettera S, non vi essendo l’altra dell’I per sostanza della voce, ma sì solamente, per espressione di leggiadría.
I nostri Maggiori ritennero quasi interamente l’Ortografía del Cavalier Lionardo Salviati, praticata da esso ne’ suoi componimenti, ed insegnata dal medesimo colle sue regole. Questa appunto abbiam seguitato anche noi, se non se in alcuna menoma cosa, che ne ha persuaso a variare o l’uso più comune, od alcun più speziale motivo.
A maggior comodità del Lettore, in fronte dell’Opera si sono posti gl’Indici delle Voci, e Locuzioni Greche, come delle Latine, e de’ Proverbj, e Modi proverbiali di tutte e due i predetti idiomi. Quindi potrà il Lettore, cogli avvertimenti, che in capo de medesimi Indici si leggono, rintracciar facilmente le Voci, e Maniere, che nella nostra lingua alle due suddette sieno le più corrispondenti, più congrue, e più adattate.
Tra le facoltadi, che ha conceduto l’uso a questo linguaggio, ci è quella del poter formare dalle voci il Superlativo, il Diminutivo, l’Accrescitivo, il Vezzeggiativo, il Peggiorativo, l’Avvilitivo, il Verbale, il Participio, e molti altri. Della propietà, e conformità delle quali parti coll’altre due Lingue, trattò distesamente il Monosini nel Flos Italicæ Linguæ al Libro secondo, come per esempio, da Salvatico, ne può venire Salvatichissimo, Salvatichino, Salvatichetto, Salvaticuccio, Salvaticuzzo, Salvaticone, Salvaticotto, Salvaticaccio, Salvaticonaccio, ec e da Tristo, oltre a’ sopraddetti, ne viene Tristerello, e Tristanzuolo, e da Ribaldo Ribaldello; e dal Verbo Testare, si forma Testatore; e da Sollazzare, Sollazzatore; e da Fare, Faccente, Facitore, Fazione, Facitura, Fattura, Facimento, Faccenda, e molte altre simili a queste: le quali Voci derivate ne’ detti modi, non si troveranno così tutte per avventura nel nostro Vocabolario. Non per tanto debbe aver credenza il Lettore, che noi ne abbiamo diffalta: ma è bene da avvertire, che non comporta l’uso del volgo nostro, che elle si formino tutte ad un modo, e secondo una medesima proposizione. Imperciocchè non ugualmente da ogni Nome si forma Superlativo, Diminutivo, e gli altri, ne da ogni Verbo il Verbale, o il Participio ad una stessa maniera. Per esemplo, da Duro

si forma Durissimo, Duretto, Durotto, e Duraccio, ma non già Duruccio, Durino, Durotto, o Durone, se non se forse in ischerzo: ne da Venire si formerà già mai Venitore, ne da Mangiare, Mangiazione, o Mangevole, ma dirassi in quel cambio Mangiamento, Mangereccio, e simili, come l’uso de’ Paesi approvati per migliori nella favella, che ne è il vero padron della Lingua, ne può essere anche il solo Maestro. Serva ciò per avvertimento, che tali derivati posson formarsi, ma non già tutti, secondo una medesima analogía. Onde per gli stranieri, e meno pratichi dell’uso nostro, il non si arrischiare senza esempio di buona Scrittura, è forse la ricetta più sicura, e migliore.
Sempre che alcuna voce per nome ugualmente, e per avverbio s’adopera, o per altra parte del discorso vien usata di pari, non come d’una sola se ne è trattato: ma come diverse voci si son considerate, traendole fuori separatamente: non quasi la stessa si sia, ma quali varie nella sostanza del significato, così appunto diverse nella qualità del Vocabolo; che prende la sua natura non da’ caratteri con che e’ s’esprime, ma bensì dal sentimento che da esso si trae. Qualora poi non ne è sì comune l’uso in diverse spezie di orazione, si è stimato abbastanza spiegarne con nota d’Asterisco particolare la varietà; Che anche talora in alcun luogo singolare, senza farne regola più precisa se ne è lasciata, nella sola lettura degli esempli, all’avviso del Lettore la distinzione. Ciò principalmente è avvenuto in quegli avverbi, che adoperati talora in forza di preposizione, non così assolutamente si pongono, ma a diversi casi del nome s’adattano.
Nella ampiezza di così vasto lavoro, tra le varie Voci non osservate in leggendo gli Autori, e tra le molte dichiarazioni non sovvenute in iscrivendo il Vocabolario, ci siamo accorti sulla fine della edizione, esservene alcune, che come termini precisi, o come distinzioni importanti, si renderebbero per avventura molto opportune alla cognizione di que’ benigni Lettori, che sieno per gettar l’occhio sopra questa Opera. Onde tra per tal cagione principalmente, e tra per la tardanza, colla quale già compiuta la stampa ci son giunti gli studi di alcun nostro amorevole Accademico, necessaria cosa ci è paruta il porne nel fine alcune Giunte. Nella compilazion delle medesime, col solito ordine dell’Alfabeto si son collocati i vocaboli mancanti, da noi creduti più acconci ad aggiugnersi: e nella stessa guisa parimente si son tratte fuori le Voci, per entro al disteso di cui, alcun esemplo, od altra notizia ci è tornato bene di inserire. A tale oggetto si è notato con carattere differente, il luogo appunto, ove por si debba la Giunta, e per comodo del Lettore,

e perchè in nuova impressione, che seguisse dell’Opera, si possa da ogni accorto Stampatore, disporre il tutto aggiustatamente per entro al Vocabolario.
Di tanto solamente abbiamo stimato dover noi fare avvertito il benigno Lettore, rimettendo il rimanente al discreto giudicio suo, e pregandolo a riconoscere in ogni parte della presente Opera, non meno la sincerità degli animi nostri, che la vemenza dell’applicazione nel cooperare a tutto potere in vantaggio della nostra volgar favella, e in soddisfacimento, quanto per noi s’è saputo, e potuto, del desiderio universale.







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