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1) Apparato 2° Ed. .
Prefazione
Testo completo

pag.960


Dedicatoria

ALL’ILLUSTRISSIMO, E REVERENDISSIMO MONSIG. FRANCESCO BARBERINO Nipote del Sommo Pontefice URBANO OTTAVO.

RIchiedeva la 'nclinazione, e obbligo naturale, che insieme con l’amore crescesse in noi la voglia di perfezionare il nostro Vocabolario, avendo veduto adempiersi l’espettazione di tutti noi, nell’essere stato, a pro della nostra lingua, approvato, e gradito. Però ci movemmo a ripigliare intorno ad esso nuove fatiche, e, toltine via i difetti, o conosciuti da noi, e fattici conoscere amichevolmente da altri, cercammo di maggiomente arricchirlo. Nel che, essendo noi arrivati a quel segno, che ci hanno fino ad ora permesso le forze nostre, crediamo, se già l’affezion non c’inganna, che non picciolo, in questa nuova impressione, debba esser riconosciuto il miglioramento. Ne potendo egli di presente, per opera, e mezzo nostro, più in se stesso avanzarsi, altro non ci restava a suo beneficio, che provvederlo d’aiuti esterni. Fra i quali essendo principalissimo l’appoggio di Personaggio, in cui sia disposizione, e modo a protegerlo, ed illustrarlo, abbiamo fatto elezione di V. S. Illustrissima. Perciocchè ci si rappresentano in Lei, in grado così supremo, le sopraddette due qualità, che non solo le conosciamo abili a patrocinio, e favor bastante al nostro Vocabolario, ma a potere anche con la loro soprabbondanza ricoprirne le 'mperfezioni. La disposizione manifestamente si scorge nella immensa sua cortesia, la quale (proprio effetto di natural generosità) sì come non le potrà permetter giammai di non ricevere, e di non aggradir questo dono, offertole con animo sì devoto, così ne la costrignerà l’amor della Patria, alla quale si spera di veder, per tal mezzo illustrata la gloria d’uno de' suoi più singolar privilegi. Lo stesso ci promette l’ottima volontà di V. S. Illustrissima inverso la nostra Accademia, e molti de' nostri Accademici, della quale e prima, e ultimamente nella sua dimora, fatta a' mesi addietro

in Firenze, avemmo così gran saggio. L’universal cognizione, che si trova in Lei, e la pienissima intelligenza delle più sublimi scienze non la disporrà ella efficacemente a gradire qualunque opera fatta a favor de' linguaggi, senza i quali le scienze non possono accomunarsi; e con la perfezion de' quali elle si abbelliscono, e più agevolmente s’apparano? In oltre se dall’esquisita notizia degli Idiomi più nobili si può argomentarne in Lei grandissima l’affezione, e la stima, non potrà non esserle a cuore la protezione d’un Vocabolario fatto espressamente a conservazione, e avanzamento della materna sua lingua, mediante il quale ella possa peravventura arrivare all’eccellenza di quelle, che fin’a ora s’è creduto, che l’avvantaggino. Il modo a protegerlo sì lo somministra, e tanto è per somministrarlene giornalmente la sua grandezza, e l’esser degno Nipote del SOMMO PONTEFICE URBANO OTTAVO, che noi siamo certissimi non potersi altronde nobilitar questo Libro più altamente. Speriamo ancora di conseguirne, per noi medesimi, non poca lode, faccendoci riconoscere in questo fatto imitatori d’agricoltor bene accorto, che a pianta, tenuta prima a ragguaglio dell’altre dà più forte sostegno, e più diligente cultura, tosto che ella mostra segno di miglior prova. Resterebbeci a supplicar V. S. Illustrissima ad accettar volentieri quanto le offeriamo, ma di già avendo noi giudicato le sopraddette cagioni, che ci persuasero a presentargliele attissime a fare con molta più efficacia per noi questo uficio, ci rendiam così certi d’avere a conseguire, per mezzo loro, lo 'ntento nostro, che ci tegniam più tosto in obbligo di ringraziamento, e di gratitudine, che in bisogno di suppliche, e di preghiere. E faccendole la debita reverenza, preghiamo a V. S. Illustrissima intera felicità.
Di Firenze di primo d’Ottobre 1623.

Di V. S. Illustriss. Reverendiss.

Devotissimi servidori
Gli Accademici della Crusca.

Bastiano de' Rossi cognominato lo 'nferigno Segretario.


Prefazione

A' LETTORI.

TUTTO quel, che virtuosamente s’adopera, per lo comun beneficio, e a favore di cose gradite dal Mondo, e tenute in pregio, suole arrecar sempre, a quei, che lo 'mprendono, pubblica lode, e universal gratitudine: lequali cose, di qualunque eccellente operazione, e più degna, debbon riputarsi pienissima ricompensa. Quindi è, che vedendo noi, per manifesti argomenti, salire ogni giorno in più stima la nostra lingua, e col numero degli studiosi di quella, sì dentro, come fuora d’Italia, crescere insieme la vaghezza di conoscer le sue bellezze; giudicammo non dovere esser senza lode, ne senza grado, la fatica, e lo studio, che a prò di quella fosse impiegato. Cotale opinione mosse in tutti noi disiderio grandissimo di giovarle, dal quale nacque appresso il proponimento di compilare il presente Vocabolario. Parve questa la più alta, e vera maniera, fra tutte l’altre, di benificare questo idioma; mentrechè non pure, mercè delle voci, che per entro ci si raccolgono, ma delle dichiarazioni, che l’accompagnano, e del novero, e gentilezza degli esempli, de' più stimati scrittori, con agevolezza e diletto viene ad acquistarsene perfetta la cognizione. Per questa guisa, oltre a ciò, viene ella assicurata, quanto è possibile, da quei pregiudici, e da que' pericoli, a' quali i molti accidenti, portati necessariamente dal tempo, fanno suggetti tutti i linguaggi: avendo mostrato la sperienza, che eglino, o in tutto od in parte, si perdono, o s’infettano, e si corrompono. De' quali pregiudici già cominciava la nostra lingua a sentirne parte, ed era in procinto di maggiormente sentirgli, essendo venuti, e venendo tuttavia meno libri manuscritti di buoni autori, ne' quali una grande, e forse la miglior parte di voci, e di locuzioni, si conservava. Conoscemmo, che quanto più esquisita, e compiuta fosse stata quest’opera, tanto sarebbe maggiore il beneficio comune, e la nostra lode, però a questo principalmente avemmo la nostra mira, e sperammo, e tentammo di conseguirlo. Accorgemmoci poscia, che la grandezza, e varietà dell’opera malagevolissimamente lo consentiva, abbracciando ella almeno, in
qualche maniera, tutto ciò di che gli huomini hanno notizia. Perciò non era quasi possibile avvertire, e conoscer, di primo tratto, quanto alla perfezion di essa facea mestiere, e conosciutolo, nel progresso del compilarla, non si poteva, senza inestimabil fatica, e lunghezza di tempo, porre ad effetto. Nondimeno, non ostante la diffidenza, che ci davan tante difficultà, di potere, secondo nostra intenzione, perfezionar questa impresa, abbiamo amato meglio tirarla avanti, che tralasciarla, perchè confidiamo, che ella, ancorchè non del tutto perfetta, sia, con tutto ciò, per giovare alla nostra lingua, e soddisfare a chi l’ama. Crediamo altresì, che tutti i discreti, e pratichi in simiglianti materie, dalla qualità di questo volume, e condizione di chi l’hà fatto, agevolmente argomenteranno la necessità che egli ha avuto della lunghezza del tempo, e dello 'ntervento di molti Accademici, e del surrogarne al servigio di esso vicendevolmente de' nuovi, in luogo degl’impediti, e de' trapassati. Conosceranno parimente la varietà grande, e moltitudine delle cose, lontanissime l’una dall’altra, e quanto sia pericoloso il fallire, nel dare la difinizione o descrizione di esse, e nel dichiarare i molti significati d’una medesima voce, i quali hanno tal volta differenza tanto insensibile, che a pena si posson trovar vocaboli, o concetti, per distinguergli, e dichiarargli, e,

senza offesa della proprietà del linguaggio, non si potevan tacere, o lasciare indietro. Abbiamo adunque certa speranza, che non debba esser loro cagione di maraviglia, ne occasione di darci biasimo, il nostro indugio nel finire, e nel pubblicar questo libro, e il non avere in ogni parte, e in ogni minuzia, sempre eseguito quanto da noi sarebbe suto desiderato, ed era fermo sin da principio.
Danno ben tutte queste difficultà occasione a noi, e cagione di dubitare di non aver conseguito, fin’ora, compiutamente lo 'ntento nostro, ma non ce ne tolgon già la speranza, mentrechè, da qui avanti, potrà ciascuno, con maggior comodità, farci sopra maggiore studio, e massimamente se degli errori, e imperfezioni, che per entro al nostro Vocabolario rimaste fossero, in qualunque lodata maniera, saremo fatti avvertiti. Di questo, con tutto l’affetto, indifferentemente preghiamo ogni uno, parendoci, che, per trattar d’ogni cosa, ciascuno possa esserne giudice competente, promettendone obbligo, e gratitudine dovuta a singolar benificio.
Nel compilare il presente Vocabolario (col parere dell’Illustrissimo Cardinal Bembo, de' Deputati alla correzion del Boccaccio dell’anno 1573. e ultimamente del Cavalier Lionardo Salviati) abbiamo stimato necessario di ricorrere all’autorità di quegli scrittori, che vissero, quando questo idioma principalmente fiorì, che fù da' tempi di Dante, o ver poco prima, sino ad alcuni anni, dopo la morte del Boccaccio. Il qual tempo, raccolto in una somma di tutto un secolo, potremo dir, che sia dall’anno del Signore 1300. al 1400. poco più, o poco meno: perchè, secondo che ottimamente discorre il Salviati, gli scrittori, dal 1300. indietro, si possono stimare, in molte parti della lor lingua, soverchio antichi, e quei dal 1400. avanti, corroppero non piccola parte della purità del favellare di quel buon secolo. Laonde potendo noi tener sicuramente la lingua degli autori di quell’età, per la più regolata e migliore, abbiam raccolto le voci di tutti i lor libri, che abbiam potuto aver nelle mani, assicuratici prima, che, se non tutti, almeno la maggior parte di essi, o fossero scrittor Fiorentini, o avessero adoprato, nelle scritture loro, vocaboli e maniere di parlare di questa Patria. Con la diligenza usata da noi, c’è venuto fatto trovarne molti, ancorchè maggiore sia stato il numero degli Autori, che la grandezza de’ loro componimenti. E in questa seconda edizione n’aviamo spogliati assai più, che nella prima, e per quanto c’è paruto, di buona lega, come si potrà veder nel catalogo, e dagli esempli. Ci è bisognato servirci di molti volgarizzamenti, e traslatamenti d’opere altrui, tratti parte dal Latino, e parte dal Provenzale, e recati da' nostrali autori, di quel secol buono, in questo linguaggio. Alcuni de' quali, per non esser (per dir così) nostre naturali piante, son da noi tenuti di minor pregio. Alcuni altri (benchè pochissimi) i quali potrebbe parere altrui, che ritengano, in qualche cosa, un po' dell’antico, a molte delle lor voci, abbiamo usato di dire, voce antica. Non s’è già osservato questo universalmente: perchè abbiam voluto lasciar libero alla discrezione, e considerazion del lettore, usarle a suo luogo, e tempo, e intanto, per la 'ntelligenza di tali autori, c’è paruto di dichiararle.
Nel raccoglier le voci degli scrittori, da alcuni de' più famosi, e ricevuti comunemente da tutti, per esser l’opere loro alle stampe, che si potrebbon dir della prima classe, i quali sono Dante, Boccaccio, Petrarca, Giovan Villani, e simili, abbiamo tolto indifferentemente tutte le voci, e, per lo più, postavi la loro autorità nell’esemplo. Dagli altri men conosciuti, benchè di non dissimil finezza, quelle solamente, non trovate ne' sopraddetti, come quelli, che non ebbero opportunità di dire ogni cosa.

Degli scrittori, i quali, in molte lor parole, par che sentan del troppo antico, n’abbiamo lasciate alcune, come straniere, e uniche, per avventura, d’alcun di loro: alcun’altre n’abbiam raccolte, non già, come uguali di bontà a quelle de' migliori, ma, come riconosciute da noi dal riscontro di più scritture, per usate in que' tempi. Queste, oltre alla dichiarazion di quegli autori, come dicemmo, potranno servire per dar notizia delle maniere de' tempi loro, e usate a proposito, e con riguardo, non mancheranno eziandio, per nostro avviso, di gentilezza.
Da alcuni altri scrittori, che forestieri più tosto ci sembrano, che nostrali, abbiamo cavate sol quelle voci, giudicate da noi belle, significanti, e dell’uso nostro, non curando dell'altre, le quali, anzi straniere, che Fiorentine, potrebbon dar più confusion, che bellezza a questa favella.
Ne' libri volgarizzati, per la poca intelligenza, in que' tempi, del latino idioma, sono molti e diversi errori, non tanto per essersi lasciato il volgarizzatore tirare a molte voci, e locuzioni di quella lingua, quanto per essersi discostato non poche volte dal sentimento più vero del latino scrittore: però non è da far capitale di lor sentenzia, ma solo dell’opera della lingua, quando hanno puramente parlato in questa favella. Quando egli hanno fallato, nel prendere il vero sentimento dell’autor latino, abbiamo nondimeno raccolti, e dichiarati i loro vocaboli, secondo ch’e' vagliono nel nostr’uso, e non secondo, che avrebbero a intendersi per dichiarazion dell’autore volgarizzato, non parendoci, che i manifesti errori degli altri abbiano da alterare le regole e l’uso di questa lingua. Per cotal rispetto molte volte, dopo la vera dichiarazione d’alcuna di queste voci, abbiamo soggiunto, per avvertirlo. [Qui vale, o qui significa ec.]
De' libri stampati correttamente sono citati gli esempli insieme co' lor libri, capitoli, numeri, e carte, o altre simiglianti notizie, conforme a che si dirà di ciascuno in particolare nella tavola dell’abbreviature. Degli scritti a penna, o vero stampati scorrettamente, è citato l’autore, o il nome del libro, con qualche contrassegno tal’ora del nome del padron d’esso, perchè non si poteva dar lor molto buona regola, ne meno da' lettori potevano essere adoperati, ritrovandosi in potere solamente de' lor padroni. De' quali nondimeno si proccurerà (dio concedente) di mandarne tuttavia qualcheduno in luce.
Deesi parimente avvertire, che oltre alle voci ritrovate da noi negli autori del buon secolo n’abbiamo nell’uso moltissime altre, delle quali forse non venne in taglio a quegli scrittor di servirsi, però nella prima edizione del Vocabolario ci parve bene darne notizia, per non impoverirne la nostra lingua, ne registrammo alcune, in confermazion delle quali usammo talora l’esemplo d’alcuni autori moderni, tenuti da noi per migliori. Ora per soddisfare al disiderio (che per quanto noi abbiamo inteso, può dirsi quasi comune) abbiamo accresciuto assai il numero di dette voci dell’uso, e, a questo fine, spogliati molti più autor moderni, come si potrà veder nel catalogo: ne abbiamo sfuggito citargli anche, dove la parola d’autore antico sia stata scarsa d’esempli, o quando l’esemplo moderno abbia più assai vivamente espresso la forza di tal parola, o sia usata in quello in vario significato.
Intorno all’autorità, e qualità di ciascun libro, o autore, stimiamo cosa assai più lodevole rimettercene a quanto in parte n’hanno detto altri prima di noi, che volerci fare arbitri di causa così importante: perciò, per ora, ci riferiamo a quello, che ne scrissero Monsig. Bembo nelle sue Prose, i Deputati sopra la correzion del Boccaccio dell’anno 1573. nel proemio dell’Annotazioni sopra il Decamerone, e il Cavalier Lionardo Salviati negli Avvertimenti della lingua

Volume primo, lib. 2. cap. 12. E nella tavola de’ titoli de' libri del miglior secolo, al principio del volume secondo, da' quali potrà il lettore cavar la regola, e lo 'ntendimento delle qualità di questi nostri allegati autori. E benchè noi n’abbiamo spogliati alcuni, non posti dal Cavalier Salviati nel suo catalogo, si potrà nondimeno, all’avvenante di quegli, andar giudicando parimente di questi, tra i quali ci ha niuna, o pochissima differenza.
Le voci estratte da gli Autori del secol buono, sopra delle quali è fondata principalmente quest’opera, son confermate con uno, o più esempli di detti Autori, e, dove s’è potuto, s’è tolto sempre esemplo di poeta, e di prosatore.
Nel citare gli Autori non s’è osservato ogni volta di metter nel primo luogo il più nobile, o 'l più autorevole, ma spesse fiate il più acconcio alla dichiarazion della voce.
Non s’è dato giudicio quali sien le voci del verso, e quali sien della prosa, se non di rado: stimando potersi ciò lasciare alla discrezione altrui, e all’uso, arbitro di simil cose.
I nomi propri delle Provincie, Città, Fiumi, ec. come ancora de' loro derivativi, parendo da principio, che non insegnassero piu lingua, che tanto, si sono, per brevità, tralasciati.
Delle parole dell’uso, o delle quali non s’è trovato esempli d’autori del buon secolo, alcune se ne sono dichiarate nel fine del discorso di qualche voce d’autore di detto secolo, con la quale ell’abbiano qualche convenienza, o similitudine, per agevolarne la 'ntelligenza: si conosceranno per tali dall’essere senza esemplo, o con esemplo d’Autore moderno, come alla voce maneggiare sarà posto rimaneggiare, e a maneggiare maneggio. Queste medesime, per comodità del lettore, saranno cavate fuori all’ordine loro dell’alfabeto, perchè quindi il proprio luogo s’apprenda della loro dichiarazione, come alla voce maneggio è detto, vedi maneggiare. Alcune altre, nelle quali non s’è conosciuta similitudine, o dependenza, con altra voce del buon secolo, le abbiamo dichiarate, conforme all’altre, con la propria dichiarazione, e con esempli d’autor moderni, per risparmiar fatica al lettore, come nella voce conflitto, contentezza.
De' Proverbi di questa lingua s’è proccurato di raccoglierne buona parte, e principalmente i significanti, e di qualche grazia, così nelle cose gravi, come burlesche. Lo stesso abbiam fatto delle maniere del favellare, e detti proverbiali, li quali appo di noi son di molte guise. E perchè intorno a queste non si poteva sempre far quel discorso, che per pieno intendimento di loro derivazioni e origini, sarebbe stato bisogno, abbiamo citato il Flos Italicae linguae Angeli Monosinij, dove il lettore, volendo, potrà ricorrere.
Non è stata nostra intenzione di fare scelta di vocaboli dispersè, ma di raccorre, e di dichiarare universalmente, le voci e maniere di questa lingua: però non abbiamo sfuggito di metterci le parole, o modi bassi e plebei, giudicandogli noi necessarj alla perfezione di essa, per comodità di chiunque volesse usargli nelle scritture, che gli comportano. Di queste tali maniere abbiam proccurato d’elegger quelle di miglior lega, proprie, e significanti, e, per distinguerle, abbiamo detto molte volte, voce bassa: modo basso, ec. come nella voce accoccare, e nella voce putta.
Le parole pure latine, usate tal volta, benchè di rado, da' nostri Autori, si troverranno contrassegnate, con dire, voce latina: come alla voce cloaca.
Per manifestare il più che potessimo la forza delle parole, abbiam proccurato, per quanto è stato possibile, d’addurre la difinizion della cosa, che si dichiara,

prendendo però il nome di difinizione larghissimamente, e come comprendente, sotto di se, la descrizione, e dichiarazione. Però non sono tal’ora tanto filosofiche, e proprie, quanto si converrebbe a perfettamente trattarne, e per professione: e di queste alcune dagli esempli stessi degli Autori, ci sono state somministrate.
Troverrannosi alcune voci non dichiarate, ma però avranno sempre la difinizione, o dichiarazion propria nel primo esemplo, come alla voce curiosità, liberalità, ec. E, quando il primo esemplo è di Dante, la dichiarazione si troverrà nell’esemplo appresso, che sarà de' comentatori: come alla voce baleno, leppo, ec.
Quando una parola ha molti significati differenti notabilmente, gli abbiamo distinti con differente dichiarazione. Quando la varietà è poca, ma ricerca pur qualche distinzione, per brevità, e maggior chiarezza, e per non si poter comprendere sotto regola generale, gli abbiamo dichiarati con la parola, cioè, posta a piè dell’esemplo, dove è la voce, come nella voce cura. Del medesimo, cioè, ci siamo serviti eziandio sotto quegli esempli, ne' quali, per aver la voce significazion poco usata, ha bisogno di maggiore appalesamento, come nella voce curro, dottrinare, ec. Tal’ora, quando i significati tra di loro poco divariano, sono immediatamente l’un dopo l’altro, nella prima dichiarazione: lasciando all’avviso del lettore l’applicargli a' loro esempli, come nella voce gente, gentile, gherone, ec.
Dove l’autor dell’esemplo tal volta s’è allontanato dal proprio significato della parola (ilche nelle traduzioni è più, che in altro accaduto) abbiamo dichiarata la voce nella sua propria, e vera significanza, ma, per dichiarazion di quell’autore, si è appresso soggiunto [qui vale] o altro contrassegno, come alla voce abrostine, abuso, accettatore, ec.
Quando non abbiam trovato esemplo d’alcuna voce, se non in senso metaforico, abbiamo usate parole, che prima la dimostrano nel suo proprio, e vi s’è appresso soggiunto [qui è metafora] come alla voce accecamento, abbaiatore, laniare, ec.
A qualche vocabolo di molti e molti significati, tal volta non gli se n’è assegnato alcun generale, o per non essersi trovato sì universal, che tutti gli abbracci, come suo genere, o per non potersi discernere qual sia veramente il più generale, e più proprio, come alla voce levato, Avere.
Bene spesso, per dichiarare un vocabolo, habbiamo usati sinonimi, scegliendo i più simiglianti, o di più vicino significato: ma non intendiamo per ciò, che tutti vaglian sempre lo stesso, ne ch’e' si debbano pigliare per lo medesimo, o usar nello stesso modo, ne con la medesima costruzione d’aggiunti, di verbi, di nomi, o preposizioni.
I Proverbi, locuzioni, e maniere di favellare, si troverranno, per lo più, sotto i verbi, da' quali traggon l’origine, come molte ne sono al verbo menare, imbiancare, ec. ma tal volta, per esserci venuto meglio in acconcio, saranno sotto alcuni nomi, come sotto a orcio, gatta, cuore, ec. E alcuna volta accadrà ritrovarsi in amendue i luoghi.
Gli avverbi composti di più parole son dichiarati, il più delle volte, nel discorso della parola più principale, come A modo sotto la voce modo: A martello sotto la voce martello: e all’ordine dell’Abbiccì sarà tratto fuori A modo vedi modo, A martello, vedi martello, ec. Ne saranno ancora dichiarati alcuni da per loro, come A distesa, A storia. Alcuni altri si ritroverranno in tutte e due i luoghi.
Le voci, o guise di parlare non significanti, se non con l’accompagnatura del verbo, son dichiarate insieme con essa, come nella voce A braccia, A campo s’è dichiarato. Portare a braccia, mettersi a campo, ec.

I participi son collocati sotto i lor verbi, e alle volte son tratti fuori, come parola da per se, quando è paruto, che eglino, più del nome participin, che del verbo. Simigliantemente Esser palese, Esser lontano, Esser presente e simili, son messi come locuzioni, sotto gli addiettivi di quelle.
Alcune voci, che in significato son le medesime, ma solamente diversificate per sincopa, o per semplice scambiamento d’una lettera sola: come opera, opra, e ovra: sopra, e sovra: desiderio, e disiderio: coltura, e cultura: si troverranno dichiarate alla più comune: come a opera, sopra, disiderio, ec. benchè, per lo più, sieno cavate fuori, secondo l’ordine dell’Abbiccì.
Ad alcune voci totalmente simili, ma differenti nella pronunzia, e nel significato, s’è detto, pronunziata con E largo, con O stretto, con S sottile, con Z aspro, ec. per mostrare, che, profferite diversamente, variano il significato: come nella voce Rocca e altri.
Il masculino, e femminino differente solo nella desinenza dell’A, o dell’O, si è collocato, per lo più, sotto la medesima voce, tratto fuori il masculino: come Discepolo, discepola, ec.
Tutti i verbi son tirati fuora con l’infinito all’attiva, con la terminazione in Re. L’attivo, e 'l passivo si sono messi mescolatamente: ma passando a neutro assoluto, o a neutro passivo, si è sempre fatto segno di cotal distinzione, come nella voce abbassare, crescere, ec. e in questo caso si sono usati i termini de' gramatici latini, per agevolezza del leggitore.
Addiettivo, e sustantivo s’è detto, quando c’è paruto necessario, o per agevolezza, o per distinzione, o anche per fuggir l’equivoco, come alla voce cupo.
Tutti gl’Infiniti de' nostri verbi, con l’articolo avanti, prendon forza di sustantivi, nondimeno non gli abbiamo tratti fuori, come voci distinte, ma lasciatigli star co' lor verbi: eccetto quelli però, de' quali abbiamo avuto esemplo, o che sono posti nel numero del più: come alla voce andare, abbracciare, baciare, dire, ec.
Perchè i termini, e strumenti delle professioni e dell’arti, non sono del comune uso, e solamente noti a' lor professori, non ci siamo obbligati a cavargli tutti. Quegli, che ci è occorso raccorre, saranno dichiarati quanto pertiene alla voce; e il nome di strumento s’è detto solo al fattivo, come ago, fuso, e simili.
De' nomi, e de' verbi s’è le più volte dichiarato nel primo luogo il senso più proprio, e dipoi il traslato, o men proprio, per metafora, o per similitudine, ec. Come alla voce cavalcare. Ma quando è metaforico il concetto intero, e non la parola, abbiamo dichiarata la voce nel proprio significato: come alla voce laccio.
Le regole date una volta intorno a voci, o a locuzioni, servono per sempre nelle cose medesime, o simiglianti: come alla voce abbondo, a brano a brano, abbracciare sust. ec.
La lingua Greca si è messa alla voce, quando ell’opera, o per esser conforme alla nostra, o almeno per accrescer le dichiarazioni.
Le voci e locuzioni latine sono a tutte le parole, e modi di dire, fuorchè dove pareva, che non si potessero circoscrivere acconciamente, non s’avendo avute le voci proprie.
Dove son mancate le voci latine di scrittor della prima classe, abbiamo adoperate quelle d’autori più bassi, e queste saranno, per la maggior parte, accennate, o contrassegnate.
Quando alle voci dichiarate per uno, o per più sinonimi, manca la voce latina corrispondente, si troverrà a uno di tali sinonimi, dove ancora si dee cercare della dichiarazion della voce.


Ne' puri termini, non ci siamo guardati d’usar parole de' professor di quella scienza, o vero arte, ancorchè non pure latine. E nelle parole attenenti a religione, ci siam serviti delle latine degli Autor sacri. Come alla voce contrizione, e così circa a’ nomi dell’erbe, piante, ec. ci siamo confermati co' più autorevoli semplicisti: come alla voce cuscota, ec.
Proverbi, o detti proverbiali latini o Greci, che corrispondono a' nostri, o che gli dichiarano, si sono per lo più, messi.
Quando abbiamo conosciuto, che alcuna voce latina, o greca abbia dato origine a qualche nostro vocabolo, ce ne siamo serviti, ancorchè d’autori più bassi: e per veder l’Autore o 'l discorso fattovi sopra, si è citato detto Autore, o il sopraddetto Flos Italicae linguae: dichiarando però, che dell’origini, che son comunissime, non s’è fatto menzione alcuna.
Nelle voci latine, e Greche abbiamo inteso principalmente all’agevolezza, per la 'ntelligenza della nostra lingua, e non all’esquisitezza di quelle.
Quanto a regole, precetti, o minuzie gramaticali, non essendo questo luogo da doverne trattare, ex professo, ce ne rimettiamo a quello, che n’ha scritto il Cavalier Lionardo Salviati, il quale, talvolta abbiamo citato ne' suoi Avvertimenti della lingua: Come nella voce accento. E il medesimo dicesi delle particelle, segni de' casi, e di simiglianti.
Nell’ortografia abbiam seguitato quasi del tutto quella del sopraddetto Salviati, parendoci di presente non ci avere, chi n’abbia più fondatamente discorso.
Per neutri, o di significazion neutrale, intendiam que' verbi, che dopo di se non hanno il quarto caso, come paziente. E, quando s’è detto neutro passivo, s’intenda, che cotal verbo, nel descritto significato, necessariamente si costruisce nel numero del meno, con le particelle mi, ti, si, E con quest’altre ci, vi, si, nel numero del più: come per esemplo. Il verbo adirare, nel suo più comune significato, non può usarsi se non con una di tali particelle allato, o poco lontana: dicendosi adirarsi io m’adiro tu t’adiri, tu ti vuoi adirare, quegli s’adirerà, noi non doviamo adirarci, voi v’adirate, quegli adirerannosi, o s’adireranno, e così negli altri luoghi di detto verbo, e de' suoi simiglianti: come avvedersi, accorgersi, vergognarsi, peritarsi, ec.
Tra le facultadi, che ha conceduto l’uso a questo linguaggio, ci è quella del poter formar dalle voci il superlativo, il diminutivo, l’accrescitivo, il peggiorativo, vezzeggiativo, avvilitivo, verbale, il participio, e altri: della proprietà e conformità delle quali parti, con l’altre due lingue, vedi più distesamente nel Flos Ital. linguae. lib. 2. come per esemplo, da salvatico ne può venire salvatichissimo, salvatichino, e salvatichetto, e salvaticuccio, o salvaticuzzo, salvaticone, salvaticotto, salvaticaccio, e salvaticonaccio. E da Tristo, oltre a' soppraddetti, ne viene Tristerello, e Tristanzuolo, e da Ribaldo, Ribaldello. E dal verbo Testare si forma Testatore, e da sollazzare sollazzatore, e da fare faccente, facitore, fazione, fattura, facimento, faccenda e molte altre simili a queste: le quali voci derivate ne' detti modi, non si troverranno così tutte per avventura nel nostro Vocabolario. Ma non per questo dee aver credenza il lettore, che noi n’abbiamo diffalta. Ma è ben da avvertir sopra queste, che non comporta l’uso di questa lingua, ch’elle si formin tutte ad un modo, e secondo una medesima proporzione. Imperciocchè non igualmente da ogni nome si forma superlativo, diminutivo, e gli altri: ne da ogni verbo il verbale, o 'l participio ad una stessa maniera. Per esemplo: da duro si forma Durissimo, duretto, durotto, e duraccio, ma non già duruccio, durino, durello, e durone, se non se forse per ischerzo. Ne da venire si formerà venitore, ne da mangiare mangiazione, o mangevole, ma dirassi, in quel cambio, mangiamento, mangereccio e simili, come l’uso ne può insegnare. E serva ciò per avvertimento,

che tali derivativi posson formarsi, ma non già tutti, secondo una medesima analogia. E in questi, per li non pratichi dell’uso, il non s’arrischiar, senza esemplo di buona scrittura, è forse il migliore.
De' verbi irregolari, dopo ch’e' son tratti fuori nel loro Infinito, non si sono detti immediatamente tutti i variamenti de' tempi loro. Come al verbo uscire non s’è detto, ch’e’faccia nell’Indicativo esco, esci, esce, usciamo, ec. Ma s’è proccurato, per quanto è stato possibile, che vi sieno tanti esempli, che tutti quanti gli manifestino.
Proprietà della nostra lingua è di sfuggire il concorso di consonanti, e perciò, quando alle voci comincianti da S, con un’altra consonante allato, preceda una parola terminata in lettera non vocale, a cotal voce, cominciante da S, sarà aggiunta avanti la lettera I: come in ispirito, con isperanza, per ischerno: delle quai voci si dovrà cercare alla lettera S ritrovandovisi per accidente quell’I.
Quando una voce non ha seco dichiarazione ne altro segno, va attaccata, e pertiene alla voce di sopra: come in accademico, accarnire.
Se in qualche esemplo si troverrà (benchè pochissime volte) voce non tirata fuori, ne dichiarata, n’è stato cagione il non averla noi avuta in istima; s’è fatto ragione, che serva per semplice intelligenza di quell’esemplo. Potrà anche forse esser talvolta accaduto, che nella dichiarazion delle voci, abbiamo usato qualche vocabolo, per difetto di memoria, non tratto fuori all’ordine dell’Alfabeto.
Delle lettere, o vero elementi di questa lingua, non s’è fatto discorso particolare, se non per quanto si può così rozzamente darne un poco di regola nel pronunziargli all’usanza nostra, stimando noi, che dove eglino sono gli stessi, che que' de' latini, sarebbe stata cosa superflua. E perchè i suoni della nostra pronunzia sono di maggior numero, che i caratteri, pareva che fosse più lungo trattato a ciò necessario, che non comporta l’ordine del nostro libro. Potrà fra tanto ciascuno vederne quello, che di ciò hanno scritto il Cavalier Lionardo Salviati nel 3. libro del primo volume degli Avvertimenti della lingua, e nel proemio avanti al Decameron del Boccaccio. Giorgio Bartoli nel trattato degli elementi Toscani, e alcuni altri, che hanno fatto professione d’esaminar diligentemente questa materia.
Molte cose son dichiarate più minutamente peravventura, che a molti non parrebbe si richiedesse, ma ciò s’è fatto a maggior notizia e intelligenza de' forestieri.
Dietro al libro sarà l’Indice di tutte le voci e locuzioni latine, adoperate in questo volume. E un’altr’Indice delle voci, e locuzion greche. E un simile de' proverbi latini, e Greci. La maniera di servirsi di quest’indici è dichiarata avanti di essi.
Per esser trascorsi per molte cagioni alcuni errori sì della stampa, come del copiatore del libro, come è costume (e massimamente in sì gran viluppo di cose) s’è fatto nota di parte de' più notabili, con le loro correzioni in un foglio, al fine del libro, i quali preghiamo il lettore, che da prima voglia emendare, acciò non abbia occasion di riprenderci: e col suo giudicio ancora corregga gli altri, da noi forse non avvertiti.
Questo è quello, graziosi lettori, che c’è sovvenuto, per vostro avvertimento, e per nostra scusa, intorno a questa nostra fatica, la quale speriamo, che non vi sarà discara, se non per altro, almeno, per averla noi espressamente durata, per giovare a chi n'ha bisogno, e per compiacere a chi n'ha vaghezza, senza punto di pretensione di strignere alcuno a riceverla, più di quello, che gli detterà il suo giudicio.








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